“Senigallia dal basso”, tra autogestione e cogestione: l’analisi di Roberto Mazzoli
Dal ricercatore e operatore Cag un excursus sugli stereotipi e i pregiudizi nel territorio
Roberto Mazzoli è psicologo e ricercatore sociale senigalliese, e soprattutto ex-operatore del CAG che ora vive a Roma. Il seguente articolo parla dell’esperienza di “Arvultùra” mettendola a confronto con quella del Bubamara.
Senigallia. Provincia marchigiana. Storia catto-comunista. Feudo Pd di interesse tristemente padano. Località turistica. Terra natale di un Papa reazionario e di anarchici fasti. Luogo indefinibile precisamente. Sonnolenta e sperimentativa, dove un bellissimo teatro all’italiana diventa un cinemone di massa e dove le dolci colline adiacenti al mare stanno per essere sfregiate da ponti e grandi strade di cemento e asfalto speculativo. Una rotonda sul mare, un centro storico che si fa vetrina.
Una contadina arricchita che si veste bene e dissimula l’impoverimento progressivo di molte sue figlie e figli licenziati e precari, che ha messo da parte un po’di soldi e vuole spenderli con parsimonia, che l’ammortizzatore sociale non si scarichi e si irrigidisca sulle buche ogni giorno più insidiose di una strada social-democratica in crisi irreversibile.
– Senigallia autogestita
E’successo e sta succedendo qualcosa di interessante in questa città, dal punto di vista politico intendo, che non dovrebbe essere ignorato e che potrebbe, a voler essere anche un po’presuntuosi, un esempio da raccontare, su cui discutere …
Come in molte città italiane dagli anni 80 in avanti, esperienze di spazi autogestiti da gruppi spontanei nel territorio non sono mancate, il Gratis e l’Associazione La Stanza sono due esempi storici di promozione culturale e artistica ancora vitali, fino al primo vero e proprio collettivo politico militante del CSOA Mezza Canaja, la cui storia parte dai Social Forum pre-Genova e si sviluppa nei dieci anni successivi attraversando fasi complesse e cangianti, di occupazioni e trattative, di progettualità nel territorio, di difesa del bene pubblico e di messa in rete con le altre realtà autogestite regionali e nazionali, in parte legate alla storia del movimento italiano e in parte, com’è ovvio, assolutamente peculiari.
Non è questa la sede di una disamina storica dettagliata del percorso di tale esperienza, che auspico venga stilata e divulgata dal collettivo stesso, al pro di raccontarsi e raccontare, saldando quel filo della memoria così necessario nelle fasi di trasformazione, come quella che sta vivendo proprio in questi mesi.
– Senigallia co-gestita
Un’altra cosa è successa in questa città, un’esperienza di mezzo, meno “tradizionale” nella storia della aggregazione sociale, l’istituzione di un Centro di Aggregazione Giovanile co-gestito, il Bubamara, con finalità di rispondere al bisogno di luoghi alternativi alla strada, dove suonare, far teatro, utilizzare internet, ecc.
Anche in questo caso moltissimi giovani si sperimentano col bisogno di “formazione sociale”, con la necessità di esercitare una forma di cittadinanza all’interno di uno spazio nel quale si possa intervenire con le proprie idee ed energie. Lo spazio è pubblico ed istituzionale, gestito dal Comune per mezzo dell’Assessorato alle politiche giovanili e attraverso le figure di due operatori (precari) alle sue dirette dipendenze. Cosa distinguerebbe questa esperienza dalle moltissime altre dei CAG italiani? Il fatto che fin da prima dell’apertura ufficiale del servizio la scrittura del regolamento interno e gli aspetti organizzativi generali sono stati discussi ed elaborati in una assemblea pubblica ed aperta coordinata dagli operatori responsabili, insieme con gli adolescenti interessati. Inoltre va ricordato che il gruppo dei partecipanti è stato oggetto di una fase formativa avente come strumento il gruppo operativo, in collaborazione con il Sert cittadino e la Scuola di Prevenzione “J. Bleger” di Rimini (www.bleger.org).
Entrambe le esperienze, il CSOA Mezza Canaja e il CAG Bubamara, hanno il loro avvio ufficiale, il primo con l’occupazione di uno spazio pubblico inutilizzato e il secondo con l’inaugurazione di uno spazio pubblico ad hoc, nei primi mesi del 2004.
Vorrei qui tentare un’incompleta analisi dell’intreccio avvenuto tra i percorsi e le storie di queste due sperimentazioni sociali, una nata tutta in seno ad un progetto politico istituzionale che dall’alto si è rivolto ad una fascia giovanile e l’altra che, dal basso, si pone nell’autonomia politica di un processo dal mandato anti-istituzionale.
Vorrei precisare che, dal mio punto di vista, ogni aggregazione umana assume la forma di istituzione, come insieme di tempi, spazi, ruoli e compiti, e che, per questa ragione, anche il collettivo autogestito può essere definito istituzione, anche se il suo mandato è anti-istituzionale.
Qui entra in gioco il concetto fondamentale di stereotipo, come “tipo generalizzato”, un pensiero rigido, che non passa per l’esperienza, ma è dato per se stesso, per passaparola, per sentito dire. Così ogni cosa umana che passa per la definizione di istituzionale viene percepita come verticale e imposta, mentre l’istituzione è una forma di autoregolamentazione umana che si realizza in gruppo da sempre, e così intendo trattarla d’ora in poi.
Il rapporto che si realizza tra le due istituzioni sopra descritte, fin dall’inizio, è sostanzialmente stretto, seppur formalmente non lo sembri.
In effetti, la sede del CAG, prima della sua apertura, è stata oggetto di attenzione del gruppo militante come possibile obiettivo di occupazione, che non avviene per alcune ragioni, la più importante delle quali è il riconoscimento da parte del collettivo del valore pubblico del progetto CAG.
Prima dell’occupazione della prima sede autogestita che diverrà il CSOA Mezza Canaja, il collettivo il Pane e le Rose (nucleo originario da cui lo stesso CSOA avrà origine) si rivolgerà al neonato CAG in alcune occasioni: dibattiti pubblici ed appoggi logistici, quest’ultimi in accordo “privato” con uno degli operatori, scatenando le ire del dirigente comunale responsabile nei casi in cui lo venne a sapere.
Poi il collettivo occupa la prima sede, si guadagna il suo spazio, si annuncia nel territorio e avvia una lunga stagione autonoma di lotta e autoaffermazione che avrà la sua fase di massima espansione nella seconda sede occupata, alle Ex-colonie dell’Enel sul lungomare senigalliese.
Le strade sembrano dividersi, dando vita a percorsi separati caratterizzati, per diversi anni, da una grande vitalità e partecipazione in entrambe le direzioni, seppur la percezione crescente è che, senza troppo farsi notare, ci siano elementi di sovrapposizione tra le due istituzioni, dal punto di vista della partecipazione, di movimenti reciproci di appartenenza.
Di cose ne succedono molte in quegli anni, e non ci entrerebbero in una disamina come quella che si sta tentando, ma l’anno 2009 appare come un altro momento cruciale di cambiamento in entrambe le realtà. Naturalmente per ragioni molto diverse:
– Al CAG avviene la sostituzione degli operatori, i primi erano dipendenti diretti del comune, i nuovi divengono dipendenti di una cooperativa esterna, che prende in appalto il servizio. E’evidente che molte cose sono cambiate e cambieranno nella gestione del servizio, nel quale si è ormai fatta strada una nuova istituzione interna al CAG, l’Associazione Bubamara. Questa prende vita almeno un anno prima, su proposta dell’unico operatore rimasto (il dimissionario non era stato sostituito ndr) che, rivolgendosi ai frequentatori più assidui ed esperti nel campo della progettazione e organizzazione, immagina un progressivo depotenziamento della struttura, in termini di sostegno politico ed economico e intende promuovere la nascita di un gruppo autogestito che potesse proseguire l’esperienza aggregativa.
– Il Mezza Canaja è costretto ad abbandonare la sua storica sede ed entra in una fase fluida, di transizione, dove potenzia la sua attività politica nel territorio, vede diminuire numericamente il suo collettivo e s’interseca progressivamente in maniera sempre più frequente con alcune altre realtà associative, culturali, artistiche e politiche di Senigallia. Un paradosso, alla diminuzione momentanea del gruppo militante storico, corrisponde un continuo aumento della capacità di coinvolgimento e di mobilitazione cittadina
La sensazione che chi scrive ha, e non si tratta certo di dati statistici, è che a questo punto i bisogni che dal basso avevano motivato la nascita di spazi aggregativi, seppur molto diversi, si affievolisce. Le sale prove per giovani musicisti e attori del CAG si svuotano considerevolmente, il collettivo del Mezza Canaja occupa per otto mesi una fabbrica abbandonata in collina dove succede poco, neanche una trattativa conflittuale con il comune, e ne esce dopo un sequestro notturno a struttura vuota.
Che succede?
Le energie sono in movimento e come un fiume carsico alternano emersione a immersione nella terra, invisibili agli occhi. Questo appare più che vero per il collettivo del Mezza Canaja, che stabilisce un piano d’intervento politico che interseca alcune mobilitazioni d’importanza locale, nazionale e internazionale, e raccoglie molte adesioni, in primo luogo dagli ambienti studenteschi. Per il Bubamara questo non sembra accadere.
Duemilaundici: la crisi politica ed economica internazionale si palesa e si fa invasiva, dal cerchio più ampio della società globalizzata penetra nei cerchi concentrici sottostanti, la comunità della nazione, della città, delle istituzioni, dei gruppi, fino all’individuo. Brucia l’africa settentrionale, l’indignazione spagnola si fa europea, nordamericana, mondiale e la vecchia Italia, devastata dal berlusconismo e dal moderatismo complice dei partiti di centro sinistra ritrova la sua tradizione di lotta e movimentista, impaurita e parcellizzata, ma mai sopita.
Si parte con un pullman autorganizzato da Senigallia per il corteo nazionale indetto dalla Fiom il 16 ottobre 2010 per poi ritornare a Roma esattamente un anno dopo, con quattro pullman autorganizzati per partecipare alla giornata dell’indignazione europea del 15 ottobre 2011. Nel mezzo, lo snodo fondamentale, la rivolta del 14 dicembre 2010, che con le sue fiamme spezza la paura figlia del g8 di Genova e restituisce linfa vitale al rito ormai inutile delle passeggiate romane grandi e ordinate. E’proprio per sedimentare nel territorio e non disperdere le energie di una grande giornata di lotta, che prende vita a Senigallia la proiezione locale di “Uniti Contro la Crisi”. Sarà questa sigla a portare in piazza il 19 febbraio 2011 più di trecento senigalliesi nel corteo cittadino contro Berlusconi e per lo sciopero generale, e a costituire una parte consistente dello spezzone di movimento, durante lo sciopero generale del 6 maggio.
Uniti contro la crisi, a Senigallia, è la somma di Mezza Canaja, Associazione la Stanza e Collettivo studentesco, ormai entrati in rete, dopo le mobilitazioni e l’organizzazione del Festival comune “Uniti contro ‘sta Mezza crisi” nei giardini della sede dell’Associazione La Stanza in agosto. E’la prima volta che accade, la solidarietà e l’unione delle forze si concretizza e si cementa.
Prende vita un altro collettivo sul tema specifico del lavoro, Precari United (//precariunited.blogspot.com/) e, il 4 novembre 2011, il “vecchio” Mezza Canaja, insieme alle energie nuove del Collettivo Studentesco occupano un altro spazio pubblico destinato alla speculazione edilizia: nasce l’Arvultùra in pieno centro cittadino, un centinaio di persone, tutte rigorosamente di Senigallia, entra e si costituisce come nuova realtà sociale, ricevendo immediatamente la solidarietà di blogger locali, Associazione La Stanza, Fiom, comitati sui beni comuni, familiari dei giovanissimi occupanti e, con felice e inaspettata sorpresa, del Gratis Club, ora circolo ARCI.
L’emergente più significativo di questo appassionante processo è il concretizzarsi dei giovanissimi e numerosi integranti del Collettivo Studentesco. Hanno partecipato alle mobilitazioni del recente passato, sono apparsi e poi scomparsi fino a diventare i protagonisti della nuova occupazione, che senza il coordinamento del Mezza Canaja non sarebbe avvenuta ma che, allo stesso modo, non si sarebbe realizzata senza l’apporto di queste giovani energie. Non che l’età media del Mezza Canaja sia alta, per carità, ma qui si parla di moltissimi adolescenti nati e cresciuti sotto la monarchia berlusconiana!
Il resto è storia nota, Sindaco e giunta costretti a trattare, spaginando l’agenda politica, un mese di riuscitissima occupazione fino alla assegnazione legale di uno spazio diverso, poiché quello occupato era già soggetto a procedura di vendita.
E qual è lo spazio assegnato?
Il piano terra dello stabile del CAG Bubamara, che viene ridotto di una metà in termini di dimensione, dopo aver già subito il taglio dei finanziamenti annui per la progettazione.
E’naturale che ne derivi un dibattito pubblico, anche polemico, dove le diverse posizioni su una tale scelta hanno diritto di confliggere.
A mio avviso, dal punto di vista dei processi istituzionali, lo svolgimento dei fatti è assolutamente straordinario: se poniamo il 2004 come anno di partenza “ufficiale” e distinto delle due istituzioni aggregative, Mezza Canaja e Bubamara, il 2011 disegna uno scenario assolutamente unico: le due realtà si troveranno, dal 2012 a convivere nello stesso spazio fisico, lo stesso stabile, un piano sull’altro, una storia sull’altra. Il percorso autogestito entra in quello co-gestito e prende forma prendendosi locali e autonomia. Al piano di sopra ci son gli operatori e a quello di sotto c’è un’assemblea autogestita. Istituzione e anti-istituzione sono condomini dello stesso stabile. E i frequentatori? Quanta e quale differenza ci dovrebbe essere tra le “due tipologie”? Età, attitudine politica, classe sociale, formazione?
Si tratta di una specie di micro modello sociale sperimentale, o qualcosa del genere. A voi e al prossimo futuro le risposte.
Vorrei concludere affrontando solamente uno dei molteplici punti di vista analitici possibili: la differenza tra i modelli fondativi e i processi di costruzione e decostruzione degli stereotipi e dei pregiudizi:
– Autogestione e co-gestione
La prima, con tutti i possibili e numerosi errori “classici”, contraddizioni, ripetizioni di errori precedenti, rigidità ideologica, scarsa attenzione all’accoglienza e all’apertura, in questo scenario dimostra una vitalità che si rinnova, in virtù di un percorso di autoformazione obbligato che impone la riflessione, l’impegno volontaristico, lo scambio e il confronto fra pari, una testa un voto. Libera gli spazi, fisici e mentali, produce trasformazione e cambiamento. Tende ad attivare le risorse. E’orizzontale.
La seconda si trova lo spazio pronto, ha mezzi a disposizione, tempi rapidi di costruzione di servizi e progetti, può, nel caso del Bubamara, permettersi una formazione preventiva di ottimo livello, è supportata dai servizi sociali, sanitari e amministrativi. Può riuscire a far molto, se si da un modello assembleare, può stimolare energie ed entusiasmi, progetti importanti ed esperienze emotive di grande valore. Ma tende inevitabilmente a creare utenza, passività. E’soggetta alla sovra-determinazione della politica e della burocrazia, al grado di motivazione degli operatori, alla sostanziale impossibilità di scelta autonoma. Ha ostacoli enormi nel rinnovarsi. E’comunque verticale, anche nella migliore delle condizioni.
– Stereotipi e pregiudizi
L’autogestione nasce dal pregiudizio, motivato, verso l’Istituzione, e si porta addosso lo stereotipo dell’arroganza, dell’uso esclusivo di spazi pubblici, dell’uso di droghe, dell’incuria e della sporcizia, della “politica”, chiusa e autoreferenziale. Deve lottare ogni giorno per contrastare tutto ciò, a volte sbaglia e conferma questi pregiudizi ma può cambiare.
La co-gestione nasce col pregiudizio verso la “politica”, un vero e proprio tabù, con quello dell’incapacità dei “giovani” di auto-organizzarsi senza adulti più o meno controllanti, con lo stereotipo del luogo pulito e tranquillo, soprattutto per il mondo adulto degli amministratori, dei genitori, dei cittadini e non deve mai cambiare.
Perché, mi chiedo, le decine dei giovanissimi del Collettivo studentesco di Senigallia, hanno scelto di rivolgersi ai “soliti comunisti del centro sociale” per trovare identità, autoaffermazione, spazi di liberazione e non ai “tranquilli” frequentatori del Bubamara?
Per molte ragioni probabilmente, ed è necessario chiederlo a loro stessi per rispondere correttamente ma, secondo la mia ipotesi, principalmente perché il percorso storico dell’esperienza del CSOA è riuscito a produrre cambiamento, ad entrare nel territorio, ad attivare relazioni di scambio, sostegno, solidarietà, impegno comune, ascolto e proposta.
In una parola perché sono stati, negli anni, decostruiti stereotipi e pregiudizi, è stata attivata immaginazione e fantasia, concretezza e speranza, fiducia nella possibilità, probabilmente ad un livello scarso di consapevolezza, di poter immettersi nel ciclo intergenerazionale della trasformazione.
Forse non è più necessario uccidere il maestro, perché con alcuni “maestri” non hai più il timore di parlar chiaro e di farti ascoltare. E magari anche di ascoltare.
diRoberto Mazzoli
Ricercatore Sociale
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