Senigallia in difesa dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori: altre le priorità
Il consigliere Giacchella (PD): "Ma rimane necessaria una riforma del mercato del lavoro"
Che cosa disciplina l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori? Non disciplina il licenziamento e non dispone relativamente alla validità del licenziamento per giusta causa e giustificato motivo.
Esso, come del resto evidenziato dal titolo “Reintegrazione sul posto di lavoro“, disciplina la cd. “tutela reale” e cioè le conseguenze del licenziamento illegittimo nelle unità produttive con più di 15 dipendenti (5 se agricole) ed in quelle che occupano meno di 15 dipendenti (5 se agricole) qualora l’azienda accupa nello stesso comune più di 15 persone (5 se agricole) o nel complesso più di 60 persone.
Licenziamento illegittimo che si ha quando è effettuato senza comunicazione dei motivi, o quando è ingiustificato o quando è discriminatorio.
A tal riguardo l’art. 18 dispone che nel caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo il lavoratore sia reintegrato nel posto di lavoro con mantenimento dell’anzianità di servizio e dei diritti acquisti a meno che non opti per un’indennità monetaria.
Detto ciò e premesso che voterò favorevolmente all’odg presentato, vorrei evidenziare che lo stesso, come del resto il dibattito che si è aperto nel Paese sull’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, non mi entusiasma.
Non mi entusiasma in quanto credo che nel nostro Paese vi siano altre priorità legate alla tematica ed alle problematiche del lavoro e che esse non siano riconducibli alla cd. “tutela reale” ma piuttosto ad un’esigenza di crescita, senza la quale ogni altro discorso sarebbe vano e per la quale sarà opportuno fermare la stretta creditiza per le imprese oltre che l’eccesso di burocrazia e al riguardo vorrei ricordare che sulla base dei dati Confartignato nel 2011 nel distretto senigallia ben 189 aziende artigiane hanno cessato attività e che il saldo iscrizioni-cessazioni è negativo.
Non mi convincono le argomentazioni che giustificherebbero il venir meno della tutela reale, penso ad esempio che gli investitori internazionali siano frenati piuttosto dal fatto che il nostro Paese è classificato al sessantanovesimo posto, dietro il Ruanda ed il Ghana, nella classifica della corruzione che da sola, fonte Banca d’Italia, vale 60 miliardi pregiudicando investimenti, sviluppo ed occupazione.
Credo che sia assolutamente necessaria una riforma del mercato del lavoro che da un lato possa rilanciare la crescita e dall’altro riesca a superare l’assurda frammentazione data delle attuali 46 tipologie contrattuali che con l’artifizio delle finte partite iva, delle simulate associazioni in partecipazione e dei falsi progetti hanno garantito precarietà, dequalificazione dei rapporti di lavoro, scarse professionalità, basse redittività senza che alle stesse fosse affiancato un adeguato sistema di ammortizzatori sociali e di reddito minimo garantito.
Non mi sembra che il recentissimo decreto legislativo (venerdì scorso, 24 febbraio, Ndr) varato dal Governo Monti sulla somministrazione di lavoro vada in tale direzione avendo previsto la cancellazione della causale (picchi di lavoro, stagionalità) che porterà solo ad incentivare tale tipologia contrattuale, che è comunque una forma di flessibilità buona, a discapito dei contratti tradizionali, con un forte rischio di abusi da parte dei datori di lavoro come già avvenuto per altre tipologie, di precariato molto più spinto, quali il contratto a chiamata ed il ed il lavoro accessorio anzitutto per le quali sono state venute meno tutta una serie di limitazioni oggettive e soggettive che tutelavano il lavoratore da possibili abusi ed usi distorti dello strumento. Limitazione che venendo meno hanno portato un’ampia diffusione di tali forme contrattuali a discapito di altre.
Va data centralità al tema del lavoro e dignità ai lavoratori e ai tantissimi che un lavoro, oggi, non ce l’hanno più. Per far ciò non credo che sia necessario ridurre le tutele di alcuni ma credo sia doveroso garantire dignità e stabilità alla condizione lavorativa, dove per stabilità non s’intende la “monotonia del posto fisso” ma un lavoro dignitoso che garantisca un percorso di formazione e di tutele tale da consentire un agevole e non traumatico passaggio da un’occupazione all’altra considerato che tale passaggio ai più è inevitabile.
Perchè tale passaggio si possa realizzare si dovranno mettere in campo efficaci politiche che garantiscano la possibilità, prima di tutto, di trovare un nuova occupazione, che garantiscano tutele nell’attesa di trovare questa nuova occupazione, mettendo, inoltre, in campo fondamentali politiche di trasparenza ed efficienza del mercato del lavoro.
Sto pensando al ruolo fondamentale che potrebbero e dovrebbero rivestire i Centri per l’impiego che, e la colpa qui è soprattutto politica, oggi hanno un ruolo assolutamente marginale nell’incrocio domanda-offerta di lavoro con bacheche desolatamente vuote.
A questo punto credo che sia più che altro interessante contestualizzare il dibattito nella nostra realtà territoriale analizzando alcuni importanti indicatori del mercato del lavoro come da rapporto del nostro centro per l’impiego riferito al suo ambito territoriale e non solo alla nosta città.
Nel 2011 le autocertificazioni di immediata disponibilità al lavoro con le quali si acquisisce lo status di disoccupato (dissocupazione amministrativa diversa da quella rilevata dall’Istat) sono state 2970, più del 2010, molte di più rispetto al 2009.
Al 31/12/2011, sempre in base ai dati elaborati dal Ciof di Senigallia, le persone in stato di disoccupazione, compresi i disoccupati di lunga durata, sono 5.726 contro i 5.374 del 2010 ed i 4.680 del 2009.
E’ vero che si parla di disoccupazione amministrativa e che quindi i soggetti che possono rilasciare autocertificazione di immediata disponibilità al lavoro sono sia coloro che ne sono privi ma anche quei lavoratori che non raggiungono date soglie di reddito (8.000 lavoratori dipendenti, 4.800 autonomi) ma è anche vero che da tali dati si evidenzia anche un problema di reddittività per tantissime famiglie.
Calano gli iscritti alle liste di mobilità, nel 2011 sono state 544 ma di queste ben 427 riguardano la mobilità ordinaria (legge 236/93) e da ciò ne consegue da un lato che gli iscritti nel complesso godono di un sostegno del reddito meno forte e molto più limitato nel tempo, da un altro lato che a licenziare e ad essere colpite dalla crisi sono proprio le aziende più piccole, quelle cioè con meno di 15 dipendenti.
Cresce, infine, il numero degli avviamenti, in gran parte connessi alla stagione estiva, così come cresce il numero delle cessazioni con un saldo positivo di +87 (a settembre + 1.056) fermo che non può non evidenziarsi un sostanziale basso livello di qualità dei rapporti di lavoro instaurati considerato che le tipologie contrattuali più utilizzate sono quelle del contratto a tempo determinato e quella del lavoro intermittente, il cd lavoro a chiamata che tra l’altro, nei settori legati al turismo, ha subito una crescita vertiginosa a danno dello stesso contratto a tempo determinato.
Concludo dicendo che, a differenza di qualcuno, non scriverò “I love art. 18” perchè credo che tra i tanti che oggi pongono al centro la tutela di tale art. vi sia anche chi usi sventolarlo per nascondere vecchie responsabilità e nuove mancanze in materia.
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