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Artigianato in crisi nella Valmisa, tira solo Senigallia

La CNA invita a controllare le liberalizzazioni: servono agevolazioni e l’adozione concordata dell’Imu

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Teatro Portone - spettacolo 25-26 febbraio 2012
Massimiliano Santini e Giovanna Curto, segretario e presidente CNA Senigallia

Il tessuto imprenditoriale senigalliese soffre e cambia pelle. Si sta ridimensionando, per via della crisi economica che ha invaso l’Europa, ma anche per condizioni più prettamente italiane che non favoriscono la situazione degli artigiani, dei commercianti e degli imprenditori locali.

Troppe tasse, concorrenza sleale e la stretta creditizia creano dei buchi che nella maggior parte dei casi vengono riempiti dalla grande distribuzione o dagli imprenditori stranieri senza creare quel ricambio generazionale che garantisca al sistema locale la sopravvivenza e la qualità finale al consumatore.

Sono queste le peculiarità della situazione in atto da alcuni anni a questa parte messe in evidenza dalla CNA di Senigallia. Una preoccupazione manifestata più volte, ma non sempre ascoltata dai vertici istituzionali.

Ma proprio perché inascoltata, ha potuto mietere le sue vittime senza troppi ostacoli. E così, in dieci anni, 70 imprese delle valli senigalliesi hanno chiuso i battenti. E se il saldo rimane più o meno invariato, è solo perché il comune capofila della vallata, Senigallia, è in positivo, con un albo di artigiani che registra 38 nuove attività.
Bene anche Monterado (+12), Ripe (+6) e Castel Colonna (+2) che, in questa maniera, accrescono il loro Albo Artigiani. La maglia nera va ad Arcevia (-14), ma anche Ostra Vetere (-12), Barbara (-9) e Morro d’Alba (-9) vedono assottigliarsi il loro bacino artigiano.

Ma il quadro è offuscato da un altro dato che preoccupa non solo gli artigiani, ma le associazioni di categoria e le istituzioni tutte: se nel 2010 le imprese neonate erano 205, nel 2011 sono scese a 198 (a Senigallia si è passati da 113 nuove attività artigiane nel 2010 a 100 nel 2011).

Quindi la crisi c’è e si vede. La crisi miete vittime e si vede. Alla conclamata crisi dell’autotrasporto, che ridimensiona il suo albo di ben 253 attività in dieci anni, si associa quella del tessile, dell’abbigliamento e delle calzature, settore con grande tradizione nelle valli senigalliesi (“per strada“, in dieci anni, quasi 200 imprese artigiane), seguito dal legno, altro comparto diffusissimo nella zona in esame, con – 151 imprese ed infine l’artistico, pura espressione di tipicità, laboriosità e creatività nostrana (-54).

Si contrappone a questi sconfortanti dati il buon risultato segnato nei settori che si sono avvantaggiati dall’ultimo decennio, ovvero l’alimentare che guadagna rispettivamente 242 imprese, gli impiantisti (+103), i centri estetici (+93) e le attività informatiche (+74). Bene anche l’edilizia, anche se non sembra cavarsela omogeneamente nel senigalliese: -26 unità rispetto al 2010, ma +1000 dal 2001.

Quel che non si vede è l’intervento garantista verso le imprese che lavorano seriamente e che lavorano sul versante della qualità. Qui l’appello della CNA – per bocca del segretario Massimiliano Santini – è forte e chiaro: si sta perdendo la competenza per concorrere con altre realtà, per mantenere la tradizione, la storia e la qualità di un settore (anzi, più d’uno in verità) messo in crisi, oltre che dal momento storico, dalla concorrenza straniera.

Insomma luci ed ombre del sistema produttivo e commerciale senigalliese evidenziata prima dall’analisi della situazione e poi dalle proposte a livello locale e nazionale.
In particolare la tanto declamata liberalizzazione che rischia di diventare una “cannibalizzazione” per la CNA se non “controllata”. La presidente Giovanna Curto afferma che non si può trascurare l’inaccettabile soggezione verso gli interessi più forti, a fronte della ferrea ed intransigente volontà di abbattere tutte le barriere che “salvaguardano” la precaria tenuta economica di molte piccole realtà nostrane.

Nessun pregiudizio però verso il concetto di liberalizzazione, purché non si tramuti in una deregolamentazioneselvaggia che finirebbe per favorire solo la grande distribuzione (che può “ammaliare il cliente tutto l’anno con location calde ed accoglienti e parcheggi comodi e gratuiti”) e la concorrenza sleale di chi sfrutta manodopera a basso costo, senza versare contributi.

Fenomeni che, se sommati alla stretta delle banche nell’appoggiare i progetti con finanziamenti adeguati e il calo dei consumi (vuoi per colpa della crisi, vuoi per la neve che ha fatto registrare -40% degli affari in pieno periodo di saldi), rischiano di innescare una bomba ad orologeria, con risvolti negativi soprattutto sociali.

Per evitare il collasso del sistema senigalliese (ma si può parlare senza difficoltà dell’intero paese), la CNA si pone in maniera propositiva chiedendo un pacchetto di agevolazioni integrate; una visione multiterritoriale per affrontare la sfida del turismo in maniera più coinvolgente dei vari soggetti che vi investono; concertare l’adozione dell’Imu con le associazioni di categoria: sostenere le imprese che hanno subito danni diretti ed indiretti dal maltempo; e soprattutto la revoca dei provvedimenti – tra cui il canone Rai speciale per le aziende – che diverrebbero solo l’ennesima tegola sul capo delle imprese, spesso a conduzione familiare.

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