Senigallia: l’ombra della corruzione sulle motonavi ferme al Navalmeccanico
Gli aiuti allo sviluppo dell'Africa: il caso della cooperazione italo-senegalese. Di Leonardo Badioli
Una storia di ordinaria corruzione nel recente passato della cooperazione allo sviluppo raccontata dal punto di vista degli africani. Pubblichiamo, inedita in lingua italiana, la parte di uno studio che riguarda le cinque motonavi che, destinate alle popolazioni senegalesi, si trovano ancora incomplete dopo oltre trent’anni nel porto di Senigallia. Dopo tanta corruzione, il governo senegalese le ha rifiutate.
Corruzione e aiuti allo sviluppo: il caso della cooperazione italo-senegalese
1. Introduzione
Nel 1993 il rapporto dell’inchiesta sull’utilizzazione del Fondo di Aiuto Italiano (FAI, legge n. 72 del 1985), condotta nel quadro dell’operazione Mani pulite, apre il vaso di Pandora. I risultati danno avvio a una inchiesta sull’utilizzazione di una linea di cooperazione, il cui rapporto, datato 26 febbraio 1994, dedica 49 pagine al Senegal. La stampa indipendente senegalese rivela lo scandalo a partire da alcuni estratti del primo rapporto pubblicato da quella italiana. Il giro muove importi considerevoli e vengono denunciate pratiche di grande corruzione. La giustizia italiana esercita pressioni sul governo senegalese depositando una richiesta di rogatoria che prende di mira alcuni ministri e rappresentanti politici di alto livello. Malgrado la pressione locale e internazionale, il governo senegalese non dà seguito all’interrogazione.
Questo studio si fonda sui seguenti dati:
– articoli di stampa senegalesi (16, di cui 8 nel 1994, 7 nel 1996 e 1 nel 1997) e italiani (15 tra 1993-94 e un compendio storico del maggio 2000;
– il rapporto prodotto nel 1993 in seguito all’inchiesta sul FAI [introvabile nella sua integralità];
– il documento che nel 1994 istituiva la Commissione d’inchiesta parlamentare sulla politica di cooperazione italiana coi paesi in via di sviluppo;
– il rapporto consegnato dalla stessa Commissione al parlamento italiano nel dicembre 1995, che muoveva dall’inchiesta condotta nel 1994;
– alcuni rapporti di attività e conversazioni tra personaggi interessati dalla vicenda, senegalesi e italiani, e testimoni del PRIMOCA, il programma più grande mai attuato dalla cooperazione italiana nel Senegal, toccato dallo scandalo.
La prima parte ricostruisce lo scandalo della cooperazione italo-senegalese a partire da alcuni scritti dell’epoca, e analizza le strategie di utilizzazione dell’informazione.
La seconda parte riguarda il PRIMOCA (Programma Integrato nella Media e Bassa Casamance), e ha lo scopo di chiarire l’incontro intorno alle pratiche di corruzione di due culture diverse, con le loro norme e le loro interpretazioni, e di descrivere le strategie di discolpa e di recupero che entrano in azione in occasione di questo incontro.
2. Lo scandalo della cooperazione italo-senegalese
Gli scritti esaminati sono di due tipi: gli articoli di stampa senegalese e italiana e il rapporto della Corte dei Conti al parlamento italiano. I primi permettono di presentare i fatti e di comprendere la strategia adottata dalla stampa dei due paesi. Il secondo lascia trapelare la maniera in cui gli audit sono stati condotti e la posizione adottata dall’organo di controllo italiano.
2.1 Lo scandalo
Le malversazioni annunciate dalla stampa senegalese alla fine dell’inchiesta sul FAI conducono ad esiti stupefacenti: dal 1979 al 1992, 625 milioni di dollari sarebbero stati distratti sui 26 miliardi di dollari spesi per la cooperazione internazionale, ossia il 2,5% del totale. Ma per quanto riguarda il solo Senegal, i progetti la cui esecuzione “non sarebbe stata conforme agli importi stabiliti sono valutati in 25 miliardi di FCFA” [franco séfa, Franc de la Communauté Financière Africaine, la moneta in uso nell’Africa Occidentale francofona] sull‘equivalente di 45 miliardi di FCFA investiti secondo la stima del rapporto della Corte dei Conti italiana. Tutti questi progetti sono stati realizzati da un consorzio di imprese che aveva solo compiti di esecuzione dei lavori: il progetto di sviluppo integrato di Matam dalla società Italtekna; il progetto idraulico riguardante le regioni di Saint-Louis, Thiès e Tambacounda da SES-SpA; il progetto di potabilizzazione delle acque di Fatik, Kaolack, Thiès e Djourbel dalla società COGE, TECHNOSOL e LANSYSTEM; il progetto per una fabbrica di sacchi e di corde e quello della fornitura di cinque motonavi da pesca dal NAVALMECCANICO di Senigallia [il neretto, questo e i seguenti, è nostro].
La seconda inchiesta, condotta dal magistrato V. Paraggio, sull’utilizzazione dei fondi per gli aiuti internazionali impegnati sotto la responsabilità di Francesco Forte, rivela che sul budget totale stanziato a favore dei paesi in via di sviluppo, poco più del 45% sarebbe effettivamente stato investito. Il rapporto si riferisce ad altri programmi italo-senegalesi: il PRIMOCA attraverso la COSVINT, il progetto SOMOUDEV e il progetto integrato agropastorale dell’Anambè con la SAN MARCO PROGETTI S.p.A.
La giustizia italiana fa pressione sul governo senegalese: “Tutti i ministri [senegalesi] dall’Idraulica, allo Sviluppo rurale e Agricoltura, alla Pesca e alle Risorse animali, alla Protezione della natura e alla Cooperazione […] sono nel mirino dei giudici italiani”. Chiede di ascoltare l’ex ministro dell’Idraulica S.Y.Diop (membro del P.S.) e il suo direttore di gabinetto S.S.Sow. In seguito al confronto con i responsabili italiani del progetto vengono adottate sanzioni contro personalità e diplomatici di quel paese: l’ambasciatore d’Italia a Dakar Claudio Moreno viene arrestato. Il ricchissimo uomo d’affari Tom de Vargas, ospite di riguardo dei politici del Partito Socialista Senegalese, è in fuga. Da parte senegalese invece il governo non dà seguito alle richieste dei magistrati italiani. Ai rumori della stampa locale risponde il silenzio del governo.
E mentre la faccenda produce parecchio scompiglio in Senegal, essa suscita in Italia una scarsa attenzione. Tuttavia, dopo qualche clamore, l’interesse finirà per dissolversi senza produrre alcun seguito da parte della stampa senegalese e soprattutto senza sfociare in alcuna sanzione da parte del governo. Sei anni più tardi i ministri senegalesi coinvolti vengono reintegrati e uno degli ex ministri responsabili del progetto PRIMOCA diventa presidente dell’Assemblea Nazionale.
2.2 I punti di vista della stampa: l’uso del discorso sulla corruzione
Nel novembre 1993 il giornale senegalese Sud quotidien apprende dello scandalo dalla stampa italiana e lo rivela ai suoi lettori pubblicando alcuni estratti del primo rapporto apparso in Italia. La stampa italiana e quella senegalese adottano comportamenti in tutto simili. I senegalesi traducono quello che è scritto in italiano, senza nemmeno accorgersi degli errori che contengono gli articoli, errori che avrebbero dovuto metterli in guardia circa la validità delle informazioni. Sédhiou, capitale dipartimentale, non sarebbe che “un villaggio” e la Casamance “un deserto“. Le cifre annunciate non sono mai riferite a fonti controllabili e possono sembrare di fantasia. I giornalisti dei due paesi cercano di romanzare la vicenda attribuendole significati demoniaci.
Ognuno stigmatizza i suoi: “… La Mafia italiana [si sarebbe] gettata avidamente su questa operazione allo scopo di trasformarla in un vasto campo di traffici di ogni genere con la complicità attiva di alcuni settori del mondo politico“. Ciò che domina negli articoli di stampa di entrambi i paesi è la volontà di stigmatizzare il fatto che il partito al potere e i suoi esponenti possano arricchirsi in modo inammissibile e indecoroso.
Per contro il fatto che le popolazioni siano state spogliate di beni che erano a loro destinati è una preoccupazione che compare poco. Una sola volta la giovane stampa indipendente senegalese fa un accenno indiretto al problema, nel 1994, definendo “crimini economici” le ruberie avvenute ai danni dei più poveri. Per il resto, essa elogia le misure messe in atto dal governo italiano (venuta in Senegal di un magistrato italiano e di un capitano dei Carabinieri; commissione rogatoria; perseguimento dei reati e arresto dei responsabili in Italia e altrove), un modo come un altro per sottolineare la gravità della situazione e criticare invece l’apatia del governo senegalese, che resta assolutamente immobile. L’attacco condotto in questo modo non è più indirizzato solamente al governo, ma anche al partito, col mettere in evidenza i legami che intercorrono tra l’ex ambasciatore italiano e il PS senegalese.
Alcuni “grandi dignitari di regime” diventano oggetto di allusioni. L’affare viene piuttosto utilizzato politicamente da parte di tendenze rivali interne al PS. Due anni dopo la stampa senegalese, di fronte al mutismo del governo, prende coraggio e titola: “Nessuna reazione ufficiale. Nessun esito giudiziario“. Vengono fatti nomi di ministri e di società coinvolte; ma gli articoli, che contengono rivelazioni e denunce, non arrivano comunque a chiedere conto o riparazione al governo per danni arrecati alla popolazione ingannata.
Per i giornalisti italiani lo scandalo resta una faccenda italiana. La cooperazione non è che una goccia d’acqua nell’oceano nel quale si sbracciano le inchieste di Mani pulite e le sue vittime non interessano la stampa. Per contro, le vicende senegalesi […] servono a smontare il meccanismo machiavellico messo su dai politici italiani.
In un primo momento la stampa rileva dei semplici errori, pesantezze, incompetenza, disadattamento, una gestione aberrante. Il “caso Casamance” è una stravaganza: “uno scherzetto da un centinaio di miliardi o poco più“. Il quale, oltre alla realizzazione di alcuni pozzi, una quindicina di abitazioni, il riadattamento di un ponte, il ripristino di una centrale elettrica, ha compreso anche la costruzione faraonica di una strada asfaltata che collega Sedhiou (un villaggio di circa ventimila abitanti) e Medina Wandifa (più che un villaggio un incrocio nel deserto abitato da duemila persone). “Il caso della fabbrica di corde e di sacchi di kenaf è un esempio di incompetenza e di aberrazione: … i sacchi prodotti dalla fabbrica costano un terzo di più di quelli prodotti in Giappone“. La fabbrica poi viene trasformata in un hangar di stoccaggio…da quaranta miliardi.
Nel caso delle motonavi da pesca le lentezze della burocrazia italiana danno come esito, secondo NAVALMECCANICO di Senigallia, “la triplicazione dei costi“. Anche in questo caso l’interesse per i possibili danneggiati da una simile incapacità risulta quasi inesistente: “… e mentre i miliardi girano, i pescatori aspettano…“, scrive il Corriere della Sera il 15 aprile 1993.
Nel rapporto successivo i meccanismi sono meglio spiegati, e conducono ad accuse incisive sostenute da investigazioni supplementari: “Una pioggia di investimenti restati sulla carta, sui quali nessuno sembra in grado di fornire spiegazioni“, “la consistente fornitura di motori fuoribordo affidata dal FAI [il Fondo Aiuti Italiani gestito personalmente da Francesco Forte] alla società Ruggerini […] che si spiega […] col fatto che una parte delle azioni della Ruggerini appartiene all’ambasciatore d’Italia in Senegal, Moreno, e a sua moglie […], motori troppo pesanti per le barche, venduti attraverso COPROFIN, società fantasma creata da Mach di Palmstein su richiesta del PSI che recuperava una parte dei fondi“. “La rete di connessione tra le società implicate nello scandalo” è finalmente messa a nudo. Secondo i meccanismi descritti, alcuni finanziamenti a favore del PSI passavano attraverso i canali di società fantasma, con benefici a favore di personalità generose o a stipendio del partito.
2.3 Un rapporto molto “garbato” al Parlamento italiano
Il rapporto della Corte dei Conti al Paramento italiano del 6 dicembre 1995 è piuttosto tecnico. Segnala i ritardi amministrativi che fanno aumentare i costi e l’incompetenza delle imprese italiane aggiudicatarie, fattori dai quali consegue la realizzazione parziale e la non funzionalità delle opere consegnate; le iniziative inutili, le disfunzioni generalizzate, l’evanescenza delle valutazioni, l’assenza di pianificazione, l’insufficienza dei controlli, i costi di gestione elevati, il non rispetto degli impegni, alcune irregolarità e la carenza di riscontri contabili e via discorrendo. Ma non mette in relazione le anomalie segnalate con pratiche illecite che siano state deliberatamente commesse.
Le responsabilità non vengono ripartite tra i protagonisti. Il ruolo delle autorità senegalesi passa del tutto sotto silenzio. Appare evidente che le persone incaricate dell’audit non avevano le conoscenze necessarie per interpretare le cose che vedevano sul campo. Gli esperti dell’Unità tecnica centrale e delle Unità tecniche locali – strumenti tecnico-politici della cooperazione – e il ruolo ambiguo che questi si sono trovati a svolgere vengono appena sfiorati nelle conclusioni. Il nome delle imprese aggiudicatarie, degli uffici di controllo disonesti appaiono, ma nessun sospetto di possibile reato viene pronunciato. Alcuni informatori mettono in dubbio la competenza degli esperti e il fatto stesso che i controlli siano realmente avvenuti.
“[…] Le cose che ho visto che sono passate alla televisione, false al mille per cento” (P.B., esperto italiano).
“Il collega che si occupava [dell’audit] del Perù, ha fatto tre giorni laggiù, ci ha portato la fidanzata, la sua amante, s’è fatto pagare i biglietti per andare a fare un giro negli Stati Uniti e anche lui è andato alla televisione“. (P.B.)
3. Il PRIMOCA: Programma integrato della media e bassa Casamance
Il PRIMOCA – il famoso “caso Casamance” – , Programma di Sviluppo Integrato del Dipartimento del Sédhiou, è il più finanziato tra i progetti di cooperazione italiana in Africa. Avviato nel 1989 e previsto per una durata complessiva di 5 anni, ha un contenuto abbastanza classico per l’epoca. Mira in una prima fase a fornire la zona delle infrastrutture di base (educazione, salute, idraulica per la pastorizia, sanità veterinaria, elettrificazione della capitale), a rompere l’isolamento del dipartimento (strade, ponte, traghetto) e a mettere a disposizione dei servizi tecnici i mezzi per operare, quelli logistici in particolare. Queste infrastrutture devono in seguito facilitare la promozione di iniziative economiche private che trovano un appoggio a partire dalla creazione di una banca, la Caisse Nationale de Crédit Agricole du Sédhiou (CNCAS) e di una rete di casse di credito. L’impalcatura istituzionale è originale: l’organizzazione governativa senegalese creata a questo scopo è incaricata di definire, dirigere e avanzare proposte per l’azione. Un consorzio italiano, la COSVINT [comprendente Impresit, Il nuovo Castoro e CMC Cooperative Muratori e Braccianti], ha il compito di realizzare le opere. Un “comitato di pilotaggio” composto dei vari ministri interessati deve fare da supervisore.
Il programma incontra difficoltà di avvio durante i primi 18 mesi. Nessun investimento viene realizzato a causa di disaccordi tra quello che il capo progetto senegalese propone di fare e quello che Cosvint si aspetta che si debba fare. Si cambia strategia sostituendo il capo progetto e la squadra italiana. L’autorità che decide le cose da fare è trasferita dal Primoca alla Cosvint. Questa configurazione inaugura quattro anni di corsa alle realizzazioni, corsa che viene interrotta da “Mani pulite”.
3.1 Dispositivo e meccanismi di base predisposti per la corruzione
Una lettura attenta tra diverse categorie di informazione rende evidente come ci si trovi in presenza di un sistema che predispone alla corruzione. Il consorzio di imprese che ha l’incarico dell’esecuzione dei lavori era “pre-designato”. Ci troviamo di fronte a un caso classico di appalto “manipolato”.
“… una gara non allargata, dal momento che le società dovevano essere tre, dotate di esperienza in determinati settori; dunque solo i grandi gruppi potevano partecipare“. Risultato scontato: “La Cosvint [è] un consorzio di imprese che fa capo alla FIAT” (P.B., esperto). E nonostante il contratto sia acquisito in partenza, “[…] alcune tangenti vengono comunque versate sui conti stranieri di alcuni responsabili senegalesi“. Per ottenere cosa?
Una testimonianza ben informata smonta tutto il meccanismo:
“[L’impresa] può farsi commissionare un lavoro. Dice: […] noi già siamo introdotti, vado in Senegal, cerco di mettere a fuoco il progetto, c’è il tale personaggio che mi può aiutare, il tale ministero che mi fa la richiesta […]; ho già stabilito rapporti con l’ambasciatore d’Italia o con qualcuno in Italia che si metterà in contatto con l’ambasciata. È un circuito così” (con richiesta di anonimato). Si viene in questo modo a sapere che a quel tempo “erano le società private che dicevano quali progetti fare” e che “le grandi imprese prefinanziavano i grandi progetti della cooperazione italiana” (P.B.)
Condizioni favorevoli alle malversazioni esistono dunque già a partire dalla costruzione del programma, nella fase di reclutamento del personale e in quella dell’acquisizione dei materiali. Reclutamenti di favore entro una rete clientelare, società fantasma: ogni cosa al suo posto.
“Il personale che lavora al progetto d’assistenza tecnica è di livello molto basso” (P.B.); “addetti al traffico inviati come tecnici d’acquacoltura da società nate una settimana prima“.
“Prendono paghe cinque volte superiori ai salari italiani” (E.C., esperto italiano)
“La Fiat pagava di più del tasso di mercato […] ma senza trasparenza” (P.B.).
“Io in tre posti differenti ho mandato via tre volte la stessa persona; l’ultima volta l’ho trovata alla Fiat” (P.B.). “Anche quando s’impone la ristrutturazione del programma, il consigliere tecnico principale non ce la fa a sbarazzarsi del personale incompetente ma protetto” (E.C., esperto italiano).
Il progetto si avvale di condizioni sospette per quanto riguarda l’acquisizione dei materiali:
“Per l’installazione del programma e poi per il materiale […] la costruzione e l’arredamento di 50 ville tutto è venuto dall’Italia, mobili, materiali, attrezzi, anche quelli che si trovano qui a prezzo minimo, le pompe, perfino il legno necessario per fare le finestre. Conteiners interi” (A.L., dirigente). “Tutte le macchine qui sono Fiat, i camion Iveco, i trattori, i caterpillar sono tutte sottomarche della Fiat” (P.B.).
Si trovano condizioni favorevoli alla corruzione anche nel dispositivo tecnico-finanziario del programma.
“Il Cosvint era un’agenzia d’esecuzione in grado di realizzare tutto, strade, case, dighe, impianti per il trattamento dei foraggi, faceva tutto dall’inizio alla fine della catena […], valutava i lavori da realizzare, stabiliva i costi, importava il materiale, le macchine […], fatturava e si faceva pagare. […] Non si faceva nessuna comparazione dei costi, nessuna concorrenza. Se dicevano che un chilometro di strada costava tot, nessuno ci metteva bocca” (A.L.).
Del resto, il classico scarto tra il calendario finanziario italiano (alla data dell’incasso) e senegalese (secondo l’anno finanziario) costringeva a tenere due contabilità separate (P.B.).
I favori ai notabili locali, forniti di beni di arredamento dal Progetto (come fanno molti dei grandi progetti) sono cominciati fin dall’inizio:
“Il Progetto è cominciato in questo modo: climatizzatori al prefetto, direttamente a domicilio; qualcosa per il commissario di polizia; per il procuratore; […] un giudice che arriva a Sédhiou è ospitato per due mesi in un albergo di lusso con camera climatizzata, trasporto dei bagagli assicurato da Primoca […]: non è questo l’aiuto previsto ai servizi locali” (P.S., responsabile dei servizi). Le prove esistono: “Tu puoi trovare climatizzatori italiani nell’ufficio del governatore” (P.S.).
Ogni cosa dipende interamente dal Progetto: gli agenti locali dell’amministrazione senegalese, per fare il loro lavoro, o anche per controllare le attività del progetto, veicoli, carburante, diaria… E la dipendenza viene accuratamente coltivata: “tutti i giorni c’è il carburante per i rapporti istituzionali” (P.K., servizio tecnico regionale). Gli effetti di questa politica sono evidenti: “A Sédhiou nessuno può vincere una causa contro Primoca (…)” (P.S.).
Da parte senegalese, il comitato interministeriale accetta il consorzio senza condizioni. Il livello spaventosamente basso del personale senegalese ingaggiato nel progetto lascia pensare a un reclutamento altrettanto clientelare che quello italiano.
“Le autorità che sono chiamate a tutelarci non lavorano affatto: la sola cosa che le interessa sono le auto di rappresentanza di cui sono fornite“. (P.S.).
3.2 Effetti di coinvolgimento a catena
L’apparato italiano è molto vistoso. Le pratiche non sono possibili se non con l’avvallo di tutta la gerarchia senegalese, ministri, responsabili amministrativi, tecnici, controllori. Ogni parte prende la sua parte e chiude gli occhi. Questo avviene a partire dalle spese più grosse fino alle minute, dai più alti personaggi ai più insignificanti. Il consorzio italiano fa lievitare le fatture, come dimostra il ponte di Diaroumé. Su questo punto stampa, testimoni e rapporti sono tutti d’accordo. La Somivac di Ziguinchor proponeva di ricostruirlo con una corsia che reggesse un carico superiore a 20 tonnellate (P.S., dirigente). La riattivazione del ponte realizzata da Cosvint è costata sette volte di più, ma non sorregge che mezzi di peso inferiore a 20 tonnellate e questo gli impedisce al ponte di giocare il ruolo-chiave che ci si aspettava per rompere l’isolamento della regione. Il Consorzio mercanteggia sulla qualità e coinvolgendo i responsabili senegalesi.
“Questione di soldi. Se vuoi diminuire le dosi dai 2 milioni al ministro, 500.000 franchi al controllore” (P.S.).
In questo caso si tratta del controllore senegalese, ma il rapporto della Corte dei Conti dimostra che anche il controllore italiano ha chiuso gli occhi. La collaborazione dei partiti alle pratiche illecite è in effetti totale:
“I commercianti senegalesi stanno al gioco, ti fatturano nei modi dovuti. […], la struttura di controllo dà l’ok e due anni dopo la strada è fottuta.” (P.S.). “L’agenzia d’esecuzione aveva convenzioni d’acquisto all’ingrosso che dovevano lasciare grossi margini […] con fornitore di carburante per centinaia di migliaia di litri per i mezzi più grossi, tutte le macchine […], ma le fatture erano a prezzi di mercato” (A.L., dirigente senegalese).
E il meccanismo si riproduce verso il basso:
A ciascun passaggio dei mezzi della GIE, il benzinaio fa un buono per un pieno di carburante, anche se non hanno fatto benzina nemmeno per 35 chilometri (A.AJAPS).
“I mattoni impiegati dal Progetto per realizzare costruzioni durevoli […] non sono in realtà in cotto come sembrano, ma in laterizio compattato, macinato” (M.D., tecnico senegalese).
Le spese vengono aumentate artificialmente: “L’utilizzazione di conchiglie nelle fondazioni rimpiazza la ghiaia laterizia meno buona. Ma questa operazione permette soprattutto all’addetto alla logistica di fatturare molti camion da Ziguinchor” (M.D.).
Le voci si diffondono e i responsabili ne vengono screditati. Non possono certo esigere dalla base che faccia meglio di quanto non facciano loro stessi. Si instaura un regime di impunità.
“Quando avviene un furto, la direzione sporge querela contro ignoti” (P.S.)
I danni derivanti dalla distrazione dei fondi non vengono rilevati. I bacini di irrigazione per l’orticoltura vanno in rovina sei mesi dopo la loro ultimazione. I contadini dilapidano tutti i loro guadagni per ripararli, poi abbandonano l’attività. (N.C. AFGVS).
“Qui tutti parlano dei muratori senegalesi locali fatturati al prezzo dei muratori italiani in trasferta” (A.L., dirigente senegalese). Per conseguenza “essi fanno lavorare altri trattenendo per sé una parte dei materiali come compenso. I manovali fanno la stessa cosa al loro livello.” (M., tecnico). E siccome i contadini non sono per niente educati, “loro non vedono niente” (A.L.).
Il Programma di promozione economica legittima iniziative assai dubbie. Vengono selezionate federazioni di contadini “inesistenti”, “per la bella faccia dei loro rappresentanti” o su raccomandazione politica senza alcuna altra verifica. Vengono realizzati laghetti artificiali e rampe di carico del bestiame per unità agropastorali là dove esiste una magra soccida vagante e dove non è stata indotta nessuna condizione perché essa si trasformi in una attività remunerativa. La costruzione di una fabbrica per la pressatura del sesamo (Faoune) di 400 chili, a fronte di una produzione molto scarsa, che viene oltretutto pagata meglio dai giapponesi, sottrae il provento di una unità da 50 chili economicamente redditizia gestita da una donna. Quando un rappresentante dei contadini è sospettato di avere stornato fondi destinati ai raggruppamenti, “nessuno dice niente perché tutti si sentono in debito” (P.S.) e la direzione del Primoca resta muta.
L’assenza di giustificazione di 30 milioni (1/4 del budget) è rilevata dagli altri broker. Perseguito, il presidente della FECAPS [organizzazione agricola senegalese] accusa il CTP italiano. “I documenti si perdono tra la casa del giudice e il tribunale“, e lui viene soltanto radiato.
3.3 Corruzione senza ritorno
Il Primoca è pervenuto oggi a una fase di trasferimento ai Gruppi di Interesse Economico (GIE) dei mezzi messi a disposizione del Progetto. Questo presuppone, per ciascun GIE, che venga messo a punto un piano d’investimento e di ammortamento che comporta un inventario dei beni ricevuti e dello stato in cui si trovano, del loro valore aggiornato a partire dai prezzi d’acquisto, per cui servono le “fatture iniziali“. Si scoprono allora pompe a mano che non esistono o che non sono mai servite. Non esiste nessuna bolla di consegna ai GIE. Gli archivi del Progetto sono “scomparsi”. I fornitori italiani si rifiutano, secondo Primoca, di consegnare la nota dei prezzi “veri” (A.D., incaricato del trasferimento). I GIE non riescono a mettere insieme i documenti indispensabili per una gestione trasparente. Le false fatture, anche scomparse, incalzano il presente e ipotecano l’avvenire dei GIE.
L’ambiguità delle relazioni che il Progetto ha mantenuto col P.S. e l’amministrazione senegalese, e nelle quali è integrato, trasforma la fase del trasferimento in un’arena. La posta in gioco non è più il passaggio di mano degli strumenti di produzione ai GIE. “Questi mezzi sembrano sul punto di essere redistribuiti entro un registro di alleanze e di clientelismo politico privilegiati e non verso gli operatori economici (E.C., esperto; O.G., dirigente“; D.M., operatore).
Le abitudini che si sono contratte non si perdono facilmente, e le pratiche di “annaffiamento” continuano: sistematicamente minacciati dalla ruggine, i mezzi del Progetto restano fuori, perché il capo delle dogane “passa” nell’ufficio del direttore del Progetto.
“Anche se non ci sono bustarelle, ci sono vari modi di dire buon giorno“. “Significa fare il gioco della corruzione, ma quelli che dovrebbero dare il buon esempio sono veramente bestie rognose” (P.S.)
3.4 Corruzione internazionale e corruzione italo-italiana in Senegal
Lo schema osservato in Primoca è di tipo particolare. Nonostante l’azione avvenga in Senegal, noi assistiamo a sottrazioni di denaro italiano da parte di italiani. Al livello superiore le pratiche osservate corrispondono alla metà del ciclo abituale di corruzione internazionale. Dall’Italia partono denari sul conto svizzero dei ministri senegalesi, le cui contropartite sono il silenzio e la cecità. Al livello di base, Primoca è una enclave italiana in Senegal, “una repubblica autonoma” (P.B.) in cui si applicano regole italiane (M.G., direttore). Il denaro resta in Italia, o ci ritorna massicciamente. Quello che circola nel luogo in cui si fanno i lavori è trattato secondo lo schema classico della corruzione tra attori locali, amministrativi, politici e imprenditori; ma non si tratta che delle briciole”.
3.5 Giustificazioni e legittimazione
Le scelte fatte all’epoca da parte della cooperazione italiana predispongono alla corruzione piuttosto che alla trasparenza.
“La seconda direzione ha ricevuto l’ordine di spendere, non di essere oculata” (P.S.).
“Ogni anno i soldi andavano spesi, anche se questo avveniva in un modo così aberrante” (A.L., dirigente senegalese)
Esiste un condizionamento che deriva dai rapporti sociali.
“Ci sono troppe implicazioni perché qualcuno prenda l’iniziativa e rompa la complicità. Io non ti denuncerò anche se vedo che ti sei fatto corrompere, perché tu hai sposato mia cugina“. “Al PRIMOCA sono tutti amiconi. L’italiano mi dice: vedo che tu sei in familiarità con tutti in questo dipartimento. Questo atteggiamento particolarmente protettivo nei confronti miei mi dà sicurezza e mi dà una certa forza, ma da quel momento non posso dire più niente” (P.S.)
Le giustificazioni per simili comportamenti sono qui le stesse che in qualsiasi altro luogo.
“Il Senegalese non conosce quali siano i suoi diritti e i suoi doveri. Non iscrive il proprio figlio alla scuola se prima non ha parlato con qualcuno che conosce qualcuno“. Per portare un familiare all’ospedale bisogna prima iscriversi alle “liste elettorali“: è questa l’unica maniera “per fare alla svelta“. “L’istinto di conservazione potrebbe tradire“.
La corruzione e il ladrocinio servono ad arricchirsi, a foraggiare il partito o a redistribuire e, in una parola, a sopravvivere.
“Gli italiani sanno spendere i loro soldi, e coi soldi fanno quello che gli pare.” (P.S.). “La gente qui non aveva l’impressione di stornare risorse al proprio paese, ma di portarle via ai bianchi, e questo veramente gli importava poco (…). Se il governo non fa difficoltà per accendere un prestito, a maggior ragione si mostra sbrigativo quando invece si tratti di un dono (A.L., dirigente senegalese). La regola è che il Progetto faccia avere 500 litri al mese al ministro competente. D. ha utilizzato i soldi del gruppo per essere in regione e poi per ricompensare quelli che lo hanno eletto. (B.D., FECAPS, Fédération Casamançaise des Agro-Pasteurs de Sensamba).
Le pratiche della corruzione non avrebbero avuto tanta rilevanza “se i progetti fossero stati corretti” (P.B.). Le norme positive, però, sono state svilite.
“Io sono commissario ai bilanci dell’Associazione Pubblica per la Sanità, e quando faccio la fila la gente si meraviglia. Il fatto di combattere la corruzione non mi dà nessun vantaggio.” (P.S.)
4. Conclusioni
Le pratiche della corruzione osservabili nell’ambito della cooperazione italiana confermano che non esiste soluzione di continuità tra corruzione internazionale e nazionale, tra corruzione grande e piccola. Esiste però una interpenetrazione tra “corruzione di mercato” (market corruption) e corruzione di prossimità” (parochial corruption). I due registri sono utilizzati da chi ne se occupa su grande come su piccola scala: il fatto di ricorrere all’uno o all’altro è essenzialmente legato alla posizione di ciascun attore nei rispettivi ambiti e in ragione dello scopo che intende perseguire. Il confine tra le due sfere è a volte difficile da stabilire.
Ci sono però due particolarità che caratterizzano in modo specifico le pratiche di corruzione all’interno della cooperazione italo-senegalese allo sviluppo: lo spazio del progetto funziona secondo regole proprie, con norme e meccanismi suoi – cosa del resto abbastanza comune nei progetti di cooperazione di quel periodo – ; qui però si tratta di un’enclave straniera incistata nello spazio politico e amministrativo nazionale e locale. Qui noi non assistiamo a processi abituali di colonizzazione di spazi leciti da parte di pratiche di corruzione eccezionali, volte a facilitare il funzionamento del sistema o ad ampliare gli spazi di favore. Qui la regola è l’illecito, e il funzionamento secondo la legalità è soltanto una cosa marginale. L’insieme degli attori è portato ad adottare nella normalità comportamenti illegali. Si può addirittura constatare come il comportamento di alcuni attori “onesti” all’interno di questo sistema deviato sia necessario al buon funzionamento dell’insieme.
L’amministrazione italiana e quella senegalese sono simili sotto molti aspetti – inefficienza, potere discrezionale eccessivo, moltitudini di intermediari e via dicendo – ed entrambe si dimostrano strumenti di un sistema politico vecchio e logoro. I meccanismi descritti sono familiari ai due gruppi di protagonisti. Le pratiche illecite trovano un’eccellente occasione di reinterpretazione dal momento che esse sono rese più facili dalle regole di una cooperazione “speciale”, in quanto si tratta di doni: questo particolare impedisce ai senegalesi di giudicare gli italiani, e scagiona di fatto i corrotti ai loro stessi occhi, così come a quelli dei loro compatrioti.
La scarsa risonanza di simili pratiche consente di instaurare una legge del silenzio che protegge e autorizza le esazioni, le estende per trascinamento a tutti i livelli e garantisce l’impunità. La visibilità dei reati commessi ad alto livello banalizza l’atto commesso su scala più ridotta. D’altra parte, l’impunità raggiunta dagli alti papaveri rende inutile ogni possibile strategia di denuncia o di lotta.
Per quanto riguarda la giustizia, le differenze tra le strategie dei due paesi – gli sforzi della giustizia italiana e i numerosi arresti molto pubblicizzati sui media contrastano con la reticenza manifestata dal governo senegalese al solo nominare la vicenda – i risultati dello scandalo non sono così differenti, giudicati alla distanza di qualche anno.
In Senegal domina l’assenza di sanzioni. Le radiazioni non sono altro che punizioni politiche, prive di un vero rapporto con le pratiche di corruzione e di sottrazione di denaro. Posizioni molto ambite sono occupate da noti delinquenti.
In Italia, malgrado sia stato alto il numero delle personalità arrestate nell’ambito dello scandalo della cooperazione, alcuni personaggi eminenti restano al coperto dei loro incarichi internazionali.
In Senegal l’opinione pubblica si è ben presto disinteressata di un dossier che non aveva séguito, dal momento che all’epoca la “società civile” aveva una assai gracile esistenza.
In Italia, Mani Pulite ha perduto l’appoggio popolare non appena è parso chiaro che i suoi interessi erano soprattutto politici. Nel 2000, tra i soggetti che avevano riportato condanne per corruzione e simili, a dispetto della dichiarata volontà di moralizzazione sono molte le persone che hanno conservato il loro posto: il 31% dei condannati per corruzione, il 33% per concussione, il 57 per falso e per l’utilizzo di false informazioni.
“…Le corruzione politica è perseguita con estrema lentezza, incertezza […] e con un tasso di inefficienza che garantisce un alto grado di impunità“.
Questo articolo è tratto da Corruption et aide au developpement. Le cas de la cooperation italo-sénégalaise, capitolo 6, pp. 237-248 tratto da
G. Blundo e J.-P. Olivier de Sardan
LA CORRUPTION AU QUOTIDIEN EN AFRIQUE DE L’OUEST
Approche socio-anthropologique comparative: Bénin, Niger, Sénégal
Studio finanziato dalla Commissione delle Comunità europee e la Direzione dello Sviluppo e della Cooperazione svizzera (DCC). Rapporto finale, ottobre 2001, pubblicato dall’ Institut für Ethnologie und Afrikastudien dell’Università Gutenberg di Mainz nel 2003.
Traduzione: Leonardo Badioli, ilpuntodisvolta.blogspot.com
da Redazione
Complimenti per il lavorone svolto...questo si che è giornalismo, non copiaincollare e persino in modo sbagliato!
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