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Concluso a Barbara il ciclo di incontri sui Marchigiani nel Risorgimento

Il prof Baldetti sui Garibaldini marchigiani in Trentino nel 1866 e sul loro eroico messaggio da cogliere

Ettore BaldettiVenerdì 19 agosto Ettore Baldetti, insegnante di storia nel Liceo Scientifico di Senigallia, illustrando i risultati di un suo recente studio, apparso nell’ultimo numero della rivista storica pesarese "Città e Contà", inerente ai "Garibaldini marchigiani nella campagna del Trentino del 1866", ha chiuso il ciclo di incontri a Palazzo Mattei, organizzato dall’Assessorato alla Cultura di Barbara, all’interno della mostra "Marchigiani nel Risorgimento", aperta nei giorni festivi dalle 17 alle 19.

Il relatore, tirando idealmente le fila delle precedenti relazioni e degli animati dibattiti, ha osservato come personaggi del Risorgimento, cioè soprattutto Carlo Alberto, Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi, Pio IX, Vittorio Emanuele II e Carlo Luigi Napoleone Bonaparte – poi Napoleone III -, con l’unica probabile eccezione del Cavour, siano stati nella loro attività almeno parzialmente coinvolti o ispirati da due contrapposte tendenze, che da sempre animano la vita politico-sociale: la movimentistica o rivoluzionaria, popolare o democratica e la diplomatica o istituzionale, eminentemente aristocratico-borghese.
La prima si ispira precipuamente al diritto naturale, quella legge ideale che appartiene a tutti gli uomini e sta alla base di recenti encicliche pontificie o delle legislazioni internazionali; la seconda al diritto positivo, quello vigente nella storia dei singoli stati e, nel caso specifico, di quelli europei, i quali, fin dall’Ottocento, sono inglobati in un sistema socio-economico capitalistico.

Contro l’egoismo privatistico animatore di questa struttura, che già Rousseau considerava l’origine di tutti i mali, si eleva l’azione di alcuni uomini eroici, cioè kantianamente in grado di andare contro il proprio tornaconto o l’istinto di sopravvivenza: i martiri del Risorgimento, come quelli della fede, i volontari nelle lotte libertarie come quelli della solidarietà umana.
Un fulgido esempio è rappresentato anche dal migliaio di garibaldini marchigiani nella campagna del Trentino del 1866 – citati nella documentazione matricolare visibile nella mostra -, fra cui si eleva la figura del decorato capitano mondaviese Enrico De Poveda, veterano del ’48 e ’49.

L’adesione di 38.000 italiani – con l’esclusione dei giovani che fra i 20 e i 25 anni erano comunque tenuti a prestare regolare servizio militare -, doppia rispetto alle aspettative , rappresentando per l’Italia il primo fenomeno di volontariato di massa, se da un lato entusiasmava le coscienze movimentistico-democratiche, dall’altro incuteva timore alle classi dirigenti ed alle autorità monarchico-governative per il timore di una svolta politico-militare rivoluzionaria.

Ettore Baldetti illustra la storia dei garibaldini marchigiani nel 1866 in TrentinoI garibaldini furono utilizzati inizialmente per il fiancheggiamento e la copertura di un vasto fronte fra lo Stelvio, il Garda ed il Mincio, ma non vennero forniti di equipaggiamenti e vettovagliamento adeguati: vestiario carente o inadatto ai climi alpini, cibo avariato, fucili vecchi o inutilizzabili, se non come supporto delle baionette. Pur tuttavia, stante la disorganizzazione e le rivalità nelle più alte sfere del comando nell’esercito regio, le uniche vere vittorie della guerra furono conseguite dai garibaldini nelle ultime battaglie di Rocca Pagana, dove si distinse il De Poveda, Forte d’Ampola e Bezzecca, nelle quali combatterono precipuamente i marchigiani.

I volontari dell’Italia centro-meridionale erano infatti inglobati nei 4 reggimenti più freschi provenienti in ritardo dall’originaria sede di arruolamento di Bari ed i marchigiani vennero inseriti particolarmente nel VII, in cui militavano il caporale barbarese Romeo Neri e il sottotenente ligure Cesare Abba, scrittore e mentore delle gesta garibaldine.

Al termine della guerra, mentre si ricercavano le famiglie dei militari regi, sia pur sconfitti, per conferire giustamente attestati e sussidi, i reduci garibaldini venivano richiamati al normale servizio di leva, come accadde per i due volontari di Sant’Ippolito, Pio Ferri e Giovanni Mencarelli – un tipografo ed un ciabattino -, partiti diciottenni al seguito del "prode Garibaldi".

In conclusione il relatore, nel chiedersi come si possa raccogliere oggi l’austero messaggio di questi eroici conterranei, ha risposto che, data l’attuale grave crisi economica, non si debba drammatizzare la situazione italiana, in considerazione dei 4/5 della popolazione mondiale che vive in povertà e di tante nazioni oppresse da dittature, ma impegnarsi individualmente oppure nelle proprie organizzazioni sociali, politiche o religiose a costruire progressivamente un capitalismo dal volto umano, uno sviluppo ecologicamente sostenibile, un commercio equo e solidale.


da Ettore Baldetti
Foto di Angelo Papi

Pubblicato Lunedì 22 agosto, 2011 
alle ore 8:49
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