Volti e nomi della Senigallia celebre ma modesta n°12: Francesco Buontempi
La sua formula per belle foto: passione + arte + sensibilità + riflessi + senso della luce e… un obiettivo
Lo incontro al Beach Bar, terminato il suo turno di lavoro. E’ tardi, quasi le 24 stanco ma anche felice dell’incontro perche gli dà la possibilità di parlare di quell’interesse primario che ha, subito dopo quello per le persone più care.
No, questa volta, cari lettori, la mia attenzione non è focalizzata (il termine è però ad hoc) né su una ballerina, né su un musicista, né tanto meno su di uno sportivo (al più su un tifoso!). E’ un artista, un dilettante, ma con il piglio da professionista, uno che ha fatto dell’immagine il suo hobby preferito: Francesco Buontempi, in arte “BONT“.
Giovane, ancora sul mercato perchè celibe, nipote di una nonna dal nome famoso, nel commercio senigalliese di Corso 2 Giugno, che rispondeva a quello delle Confezioni “Severina” e che forse proprio per un suo innato e sconosciuto (al tempo!) senso artistico, sceglie di frequentare l’Istituto Alberghiero Panzini dove poi conseguirà il diploma di Cuoco. Mestiere che abbisogna di tecnica, ma anche di fantasia e arte, per le godurie del palato si, ma anche degli occhi.
E’ il 1° Maggio del 1988 che, unitamente a due altri suoi amici dell’Istituto Alberghiero Panzini, di cui era allora Preside il Prof. Alfonso Benvenuto, vede iscrivere il suo nome sul “Guinness dei primati” confezionando la torta più lunga del mondo di ben 591 metri.
Era quindi predestinato che il suo primo lavoro non lo svolgesse in una cucina, ma in una pasticceria dove gli accostamenti di colore, la scelta del soggetto, prima ancora che la dolcezza, producessero, con l’impatto che l’immagine crea da dietro la vetrina, l’effetto calamita dell’attenzione di passanti golosi e sperabilmente futuri clienti.
E’ una delle pasticcerie più celebri di Senigallia, quella della famiglia Roccati, che lo scopre e lo prende quindi alle sue dipendenze e lo porterà anche a Madonna di Campiglio, quando questa deciderà di spostarsi là. Ci resta per 6/7 anni poi la pasticceria decide di emigrare a Bologna ed allora Francesco decide di ritornare a Senigallia o meglio… in Ancona dove apre un’attività completamente diversa da quella che aveva fin ad allora svolto, ma che evidentemente risentiva di un certo influsso che le aveva trasmesso nel DNA la nonna Severina.
Così apre una “bancarella” in Corso Mazzini, ma dopo 5 anni di attività decide di smettere e ritornare a Senigallia dove dà vita ad una Pizzeria e Birreria al Vallone.
Poi dopo due anni un’altra svolta che lo lega già da 5 al locale dove ci troviamo.
Ma il primo incontro di lavoro è importante, non tanto per il ruolo professionale, ma perchè gli offre l’opportunità di conoscere Mario Roccati, che non è solo il suo datore di lavoro, bensì diviene la sua musa e che lo inizia nell’arte fotografica, in quanto era un appassionato di fotografia. E’ con Roccati quindi che comincia a scattare le sue prime foto, a frequentare i primi laboratori di sviluppo e stampa.
Si perchè ancora le macchine digitali non erano state inventate e si affidava le “proprie creature” all’artigiano fotografo di fiducia. “Io affidavo i miei rullini – ricorda “Bont” – a Nevio Arcangeli, uno dei fotografi storici di Senigallia“. Sorseggia per un attimo la sua Coca, fa tintinnare i tre cubetti di ghiaccio, fissa lo sguardo sulle bollicine che salgono dal fondo del bicchiere e come da loro ispirato mi racconta senza guardarmi: “Attraverso Roccati, ho anche avuto modo di conoscere il grande Mario Giacomelli, di cui il mio datore di lavoro era amico, ricavandone utili consigli e altrettante utili critiche. Mi ricordo che Roccati un giorno mi suggerì di fargli vedere alcune delle foto che avevo scattato. Io allora velocemente andai nel retrobottega a prenderne una decina e gliele sottoposi con soggezione, ma felice di avere un giudizio da un simile talento. Lui dopo averle esaminate, me le ridiede con una esclamazione lapidaria: “ben fatte… ma cartoline!”. Però era anche il tipo che ti dava consigli e che ti spingeva a fare di più. Infatti la volta dopo, scartandone ancora diverse come “cartoline” lo sentii pronunciare “… Ohhh… vedi??!! queste sono diverse dalle normali cartoline, hanno qualche cosa di più…“.
Gli chiedo che cosa ne pensa della Fotografia di oggi: “Sono molti coloro che pensano che il valore del fotografo dipenda da quella economica della macchina. Ho sempre il ricordo di Giacomelli con una sua macchinetta tenuta stretta con delle strisce di nastro adesivo. Anche le macchine digitali hanno appiattito quest’arte. Anche se l’occhio di un esperto sa ben riconoscere la bella cartolina dalla bella foto per il taglio dell’immagine, per la luce, per i riflessi, per il gioco delle ombre, per i colori che non alterano la naturalità del soggetto. La foto deve nascere in tutte le sue pecurialità, prima del click, nella testa del fotografo“.
Uno degli abituè del locale si alza e andando verso la porta lo saluta con un “Buona Bont“, a cui risponde con un cenno della mano ed un sorriso.
Ne approfitto per rivolgergli incuriosito quali siano stati prima e quali lo sono ora i suoi amori di fotografo, inteso logicamente come macchine: “Ma sai Franco che mi prendi in contropiede… aspetta … è stata una Yashica reflex Fx3-2000, si… e poi dopo un pò… mi ricordo che esaudii un desiderio che avevo lungamente rincorso, acquistando una Contax 167MT, la migliore. Poi è venuto il tempo delle digitali e mi sono adeguato acquistando una Canon 450d, abbastanza semplice, con due obiettivi: Zoom 18/55 e 75/300“.
Mi avventuro allora in una domanda dal sapore come preferisci le Bionde o le More, qui invece si parla di foto ed è quindi quasi un rito porre il punto di domanda su B/N o colore?: “Sicuramente, almeno per me, il B/N è quello che ti offre più possibilità per lavorarci e produrre una foto artistica“.
L’ora è tarda, lui anche se non lo dà a vedere, ritengo sia stanco ed allora gli chiedo a finire questo piacevole incontro, almeno per me, quali sono i suoi migliori lavori e quali sono o crede che siano le sue migliori qualità: “Ma lo sai che mi emoziano il rivederle nelle notte insonni e che le rivedo volentieri anche dopo innumerevoli volte. Non lo so se sono un megalomane o meno, solo che le guardo, le studio, mi faccio autocritica, mi domando se forse avessi fatto in un altro modo… ma quella che ricordo con piacere è quella dei gabbiani all’interno del porto canale sotto le forti raffiche di bora.
Le mie foto vorrei che esprimessero, almeno questo è il mio intento, la sensazione di silenzio, di solitudine, di tranquillità. Se qualcuno ci trova questo, sta a significare che ho centrato il mio obiettivo. Far provare una sensazione particolare a chi guarda l’immagine e che non è quella reale. I soggetti che preferisco sono sicuramente quelli che la natura mi offre e con un particolare riguardo agli eventi atmosferici con il gioco delle prospettive“.
Sto quasi per spegnere il PC, quando mi chiede con la stessa soggezione di quando mostrò le foto a Giacomelli: “Franco posso chiederti un favore… quando pubblichi l’articolo, sarebbe possibile rivolgere un ringraziamento a coloro che mi hanno aiutato offrendomi la loro disponibilità di spazio? Si… grazie. Allora un vero ringraziamento di cuore va alla mia prima fan, mai nome fu più azzeccato, Benedetta detta “Biby” del Roxy Bar, per l’ospitalità che mi ha concesso permettendomi l’affissione dei miei lavori sulle pareti dell’esercizio“.
Per chi legge, invece i suoi lavori sono e saranno pubblicati su Senigallianotizie.it – 60019 nella rubrica – tutta da sfogliare – “Una foto al giorno” o sulla sua pagina Facebook.
Testo di Franco Giannini
Foto di Francesco “Bont” Buontempi
L'ho sempre ammirato per un sacco di cose, gli ho sempre riconosciuto capacità molto speciali che, aggiunte alla passione, lo rendono bravo in quello che gli piace.
La fotografia è forse la cosa che più rappresenta questa unione di capacità e passione, con dei grandi risultati di cui, io e mia moglie, ci vantiamo di scroccargli qualche copia ogni tanto.
Mi fa piacere che altri si siano accorti di lui e, giustamente, ne tessano le lodi.
Le mie, per affetto, sono troppo di parte.
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