Guerre d’Indipendenza e Spedizione dei Mille: nasce il Regno d’Italia
Approfondimento di storia per la ricorrenza del 150° anniversario dell'Unità d'Italia - parte terza
Il 1848 (la "primavera dei popoli") è l’anno in cui esplosero tutte le contraddizioni sommatesi a partire dal Congresso di Vienna tra una società e un’economia in rapida trasformazione (rivoluzione industriale, socialismo) ed una politica arroccata su posizioni rigidamente conservatrici. Come i precedenti moti, le rivolte del ’48 scoppiate a Parigi hanno una circolarità europea assumendo in alcuni paesi (es. Italia) anche i caratteri di lotta per l’indipendenza.
Preceduta dalle sommosse in Sicilia, dalla concessione degli statuti, dalle insurrezioni popolari di Milano e Venezia, la Prima Guerra di Indipendenza è combattuta in nome del federalismo neoguelfo giobertiano e della guerra popolare: all’esercito piemontese si uniscono gli eserciti degli altri stati italiani: Toscana, papato, Napoli e anche un gran numero di volontari provenienti da tutte le regioni italiane (anche Senigallia dette il suo contributo, basta leggere le lapidi poste sotto l’arcata del Municipio).
La guerra presenta anche un carattere democratico popolare soprattutto nella seconda fase, con la formazione delle repubbliche di Firenze e di Roma, guidata quest’ultima dal triumvirato Mazzini, Armellini e Saffi dopo la fuga del papa e la proclamazione della fine del potere temporale della chiesa.
Gli errori politici e le sconfitte militari di Carlo Alberto e del suo staff, la defezione dalla guerra degli altri stati, il venir meno in certe regioni del nord del sostegno popolare, nonostante la resistenza ad oltranza di Firenze, Roma e Venezia decretarono il fallimento della guerra, la cosiddetta guerra delle occasioni perdute.
Nel ‘49/50 tornano nei rispettivi stati i vecchi governanti che però, reintroducendo una politica repressiva, finiscono per scavare un solco incolmabile con la popolazione, facendo venir meno progressivamente la precedente fedeltà dinastica.
Tuttavia il 1848, non a caso definito anche l’anno della svolta, segna un radicale cambiamento nella storia e per l’Europa e per l’Italia. In generale, esso rappresenta la fine del "concerto conservatore" cioè della Restaurazione e l’inizio di un’Europa delle nazioni, dei nuovi stati unificati (Italia, Germania) delle costituzioni e del liberalismo, della borghesia e della industrializzazione.
Per l’Italia il 1848 assume il valore di banco di prova di tutti i progetti pensati o tentati fino a quel momento, costituendone insieme un filtro e un indirizzo per le scelte future. Nel ’48 sono naufragate insieme le idee del federalismo e della guerra popolare, nonché la convinzione che l’Italia potesse "farcela" da sola contro l’impero asburgico e/o altri stati.
Quali erano le indicazioni emerse dal ’48?
1) Che l’Italia nel suo processo di unificazione dovesse seguire la via politica – governativa militare, ovverosia che l’iniziativa partisse da uno stato legittimato a farlo, garantito da una solida e antica dinastia (quella dei Savoia);
2) Che lo stato promotore della rinascita italiana, pur nel suo piccolo territoriale, dovesse presentare all’Europa tutti i caratteri della modernità, cioè costituzionalismo e liberalismo, infrastrutture e sviluppo economico – finanziario, emancipazione civile e laicità: questo stato era il Piemonte di Vittorio Emanuele II e di Cavour;
3) Che il problema Italia dovesse diventare un problema urgente per l’Europa, da risolversi quindi anche sul piano internazionale con l’appoggio di importanti stati pena la destabilizzazione europea a causa degli sconfitti ma non sopiti movimenti repubblicani e democratici: negli anni ’50 si ha una ripresa del mazzinianesimo, ad esempio la spedizione a Sapri di Carlo Pisacane.
Tutte queste idee si incarnarono nella figura di Cavour che, certamente meno popolare rispetto a Mazzini, Garibaldi, lo stesso Vittorio Emanuele II, fu di fatto il deus ex machina, l’artefice dell’unificazione italiana.
Nel cosiddetto "decennio di preparazione" o del grande ministero 1852/59, Cavour pur fra contrasti profondi con il re, il Parlamento, la popolazione, ha operato su due fronti contemporaneamente: interno ed estero.
Sul piano interno ha attuato una serie di riforme radicali politico, economico, sociali, civili, culturali e religiose tali da elevare il Piemonte al pari dei più avanzati stati europei.
Sul piano internazionale (è qui che si esalta in particolare l’opera del Cavour) riesce ad inserire il Piemonte nel concerto delle potenze europee, in posizione subordinata, è vero, ma pur sempre presente e non più isolato e chiuso entro i confini alpini.
La partecipazione alla guerra di Crimea e al successivo congresso di Parigi, consente al Cavour di trovare sostegni in Inghilterra e soprattutto in Francia. Con la Francia di Napoleone III, nel 1858, egli stipula il patto segreto di Plombières in funzione antiaustriaca.
I progetti sono però divergenti perche se Napoleone vi vede un’occasione per sostituire la propria all’influenza asburgica in Italia favorendo la formazione di un grande stato nel Nord "suo debitore", Cavour vi intravvede, una volta scoppiata la guerra, la possibilità di scavalcare i piani francesi in funzione unitaria grazie anche all’opera della Società Nazionale (unità e monarchia), diffusa in particolare nel centro Italia.
1859: nell’aprile scoppia la II Guerra di Indipendenza. Alle vittorie dell’esercito franco-piemontesi arricchito dall’apporto di migliaia di volontari, si accompagnano le insurrezioni dell’Italia Centrale che organizza governi provvisori in attesa di unirsi al Piemonte. L’armistizio di Villafranca (11 luglio 1959) stipulato tra Francia e Austria coglie tutti di sorpresa e sembra bloccare definitivamente la situazione, vanificando in un momento tutti i progetti auspicati.
È vero che Napoleone III non aveva rispettato le clausole del trattato di Plombierès, ma è altrettanto evidente che il Piemonte, l’Italia, non poteva procedere oltre. Tuttavia Cavour forzando la mano, ottiene da Napoleone III in cambio di Nizza e Savoia, il consenso all’annessione dei ducati dell’Italia centrale attraverso i plebisciti.
È in questa situazione di stallo che si inserisce l’azione risolutiva di Garibaldi. Una rivolta scoppiata in Sicilia nell’aprile del 1860, peraltro pre-accordata, offrirà il pretesto della partenza da Quarto tra il 5e il 6 maggio dei Milledi Garibaldi. Lo sbarco a Marsala (11 maggio), la conquista di Palermo (30 maggio), la marcia di avvicinamento e l’arrivo a Napoli (7 settembre) e la vittoria conclusiva al Volturno (1/3 ottobre) sull’esercito borbonico hanno compiuto l’inimmaginabile: l’unificazione del Sud all’Italia.
In quei mesi i successi di Garibaldi che avevano allarmato le cancellerie europee, e soprattutto Napoleone III per la dichiarata intenzione garibaldina di conquistare Roma, consentono a Cavour, di ottenere dall’imperatore francese il consenso alla spedizione di Vittorio Emanuele II nel centro Italia per fermare l’avanzata di Garibaldi.
Con la battaglia di Castelfidardo (18 settembre) l’esercito piemontese conquista le Marche aprendosi la strada per Napoli; (vedere la lapide a Porta Lambertina a ricordo del passaggio a Senigallia dell’esercito guidato da Cialdini).
Il 26 ottobre a Teano, Garibaldi consegna il regno di Napoli a Vittorio Emanuele II riconoscendolo come re d’Italia.
Il 17 marzo del 1861 il nuovo parlamento non più subalpino ma italiano proclamerà solennemente la nascita del Regno d’Italia e dieci giorni dopo, per volontà di Cavour, Roma capitale d’Italia.
di Laura Pierini
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