Volti e nomi della Senigallia celebre ma modesta n°8: Matteo Fraboni
Un compositore, un batterista, un artigiano del suono, un senigalliese giramondo…
Credevo che consistesse in un semplice “a domanda risponde”, invece mi sono trovato a dover studiare, scartabellare, ricercare significati, ascoltare musiche che rievocano storia, costumi, lotte, etnie. Musiche ritenute povere, (dipende poi sempre che cosa si vuol intende per povere… se originarie del “popolo” allora si), ma che in fin dei conti, se non sono proprio le progenitrici di quelle considerarte acculturate o classiche, sono però sicuramente madri di quello che è considerato il “Ritmo”, con la R maiuscola ed in neretto!
Gli amici di 60019, mi passano un bel giorno, il nominativo di questo giovane che mi dicono, con una terminologia tutta giovanile, “Tosto nel suo campo”. Per me invece, “Matusa”, assolutamente un semplice nome sconosciuto. Mi giurano che sia una vera “promessa” della musica ed inoltre è nativo di Senigallia e che come tale possiede tutti i requisiti per divenire un nuovo personaggio da aggiungere a quell’ “Album di figurine” di personaggi di Senigallia, che vado costruendo e collezionando attraverso le mie particolari “interviste”: “… Scrivi … – mi dicono – … Matteo Fraboni …” ed a seguire un semplice numero di cellulare. Ed è da qui che nasce la ricerca della storia della musica Jazz dalle sue origini ai giorni nostri… altro che intervista!
Fa seguito quindi una telefonata, un appuntamento, le coordinate per l’incontro: una panchina ombreggiata al Parco della Pace.
Mentre lo attendo, tra me e me mi chiedo a quale categoria di personaggi dello spettacolo apparterrà: sarà un esibizionista? uno stravagante? un pazzoide? uno sfigato magari anche capace, oppure invece con l’aggravante dell’incapacità? un illuso? oppure un ostinato perché convinto delle sue potenzialità? Evidentemente non avevo tenuto conto di un’altra possibilità… un individuo del tutto normale, un ragazzo semplicissimo che con un’estrema carica di simpatia, classica di chi è sempre a contatto con il pubblico, qualunque esso sia, mi mette subito a mio agio…
Cosa che mi ero riproposto di fare io con lui, vista la differenza d’età che ci separa, ed il che sinceramente mi spiazza.
“Sei tu Franco?” mi chiede subito ed alla mia conferma: “Ciao… scusami per l’abbigliamento balneare… ma subito dopo vorrei andarmi a fare un bagno…“. Comprendo subito che aprire un colloquio con Matteo sarà la cosa più semplice di questo mondo e così è… fino a che non mi confessa il suo amore per la musica “Jazz” e che il suo strumento professionale quanto galeotto, è la “batteria“. Cose di cui io ne mastico poco, se non addirittura nulla.
Mi comincia a sciorinare termini inglesi misti a nomi celebri (che solo grazie agli appunti riesco ben a ricordare) come il maestro cubano Changuito, o l’insegnante newyorchese Ari Hoenig, o il batterista Gene Jackson, oppure il maestro di musica indiana Aki Montoya, per non parlare poi di un “mostro sacro”, purtroppo venuto a mancare improvvisamente per un incidente stradale, il senegalese Mamadou Diouf.
Nomi di artisti e località geografiche si sovrappongono fino a formare una planimetria di quello che sarà il suo breve (come tempo) ma nel contempo lungo (come chilometraggio) percorso di vita e di studio.
Lo interrompo e gli confesso la mia ignoranza. Il Jazz per me, invece, si ferma a Lino Patruno ed i suoi Gufi (sono favorito dall’età) per quanto riguarda il nazionale, New Orleans per quello che può essere la geografia etnica di questa musica, una tromba per quel che concerne lo strumento e Louis Armstrong il personaggio che l’impugna, con in mano l’immancabile fazzoletto bianco, Summertime come brano musicale, e poi il nulla.
Sorride, estrae dalla tasca una cartina per sigarette, tabacco e filtro e con la stessa abilità delle dita che sono certo avrà con le bacchette, se ne fa una sottilissima e ben fatta. Un vero cigarillos… una sigaretta a mano perfetta, curata con la stessa valenza di quelle di rinomate marche confezionate in pacchetti tentatori quanto dai costi esagerati.
“Scrivi allora – mi sollecita con un viso rilassato e sorridente – che sono nato a Senigallia il 15 Ottobre del 1983. Incontro la musica per la prima volta ad 8 anni, cominciando a pigiare sui tasti di una “tastierina” di mio zio. A 12, scopro il pianoforte prendendo alcune lezioni da una pianista amica di mia zia, ma è a 13 anni, forse sarà stata l’età della pubertà che incontro il mio primo amore musicalmente parlando: la Batteria (che amo ed odio, da qui la necessità e decisione di avvicinarmi allo studio della composizione per dirigere i miei progetti)“.
E qui si fa riprendere dal suo entusiasmo, che se dal lato narrativo risulta piacevole, perchè pacato, risulta vulcanico e difficile da seguire per me dotato di riflessi appannati, in quelle che sono date, nomi, strumenti, generi musicali, località geografiche, itinerari storico musicali che rievocano così i suoi primi passi musicali, prima di giungere al vero Jazz.
Mi parla delle sue esperienze nel Rock, in quelle Pop, Funk e Reggae. Insomma come un novello Picasso delle 7 note, mi narrasse dei suoi periodi… ma non lo fa per mania di grandezza o di esibizionismo, ma per un amore sviscerato nei confronti di questo che per lui è arte, ma anche lavoro: “… Vedi Franco – mi dice – io trovo che tra la parola artista ed artigiano ci sia molto in comune ed io mi sento appunto un artista ma anche un artigiano della musica, sarà perché io vengo da una famiglia di questi“.
Mi elenca i locali e i Festival della musica Jazz dove si è esibito quali l’Alexander Plaz, il Siena Jazz, l’Ancona Jazz, 7 giorni in Jazz, Bordighera Jazz, Faenza Jazz…
Cosa pensi a proposito della composizione contemporanea? gli chiedo. Gli stili, la sperimentazione, le fonti dalle quali si può attingere. Ad esempio cosa pensi dell’integrazione nella tua musica con degli effetti puramente elettronici, affiancati da strumenti molto “classici” o tradizionali?
“Penso che siano due estremi sui quali bisogna insistere oggi. Trovo molto interessanti le atmosfere rarefatte, gli “ambienti” che si possono creare con i vari computer etc… Penso che possano contribuire ad arricchire le “stanze sonore” che già creiamo da tempo, con l’utilizzo di strumenti classici. Non sono uno di quelli che crede che ancora oggi si può inventare qualcosa di completamente nuovo, ed anche l’elettronica che abbiamo a disposizione, porta con sè comunque il grande “limite della macchina” qual’è, perché credo che non riuscirà ad essere spontanea tanto da simulare i veri stati d’animo di un essere umano e riprodurli, almeno lo spero…”
“Partendo da questo presupposto non escludo però di inserirla anche nel mio disco che uscirà entro l’anno, per il momento sto lavorando in quartetto, uso un Fender Rohdes degli anni ’70, un contrabbasso, un trombone con degli effetti ed ovviamente una batteria. Già così il suono che si crea è molto particolare, quasi che sta in bilico tra quello di un quartetto tradizionale jazz ed un dj Set live… Non so bene ancora come lo organizzerò, ho diverse idee appuntate qua e là, non è da escludere l’utilizzo di loop o simili“.
“Sicuramente vorrò inserire molto di tutto quello che ho inseguito e ascoltato fino adesso, il jazz newyorkese contemporaneo, le influenze africane, quelle indiane e quelle elettroniche.
Non penso ci siano da spendere troppe parole, penso semplicemente che per fare della buona musica, nel mio campo come in altri, sia fondamentale riuscire a far sentire a proprio agio i musicisti che suonano con te, solo così suoneranno al meglio e solo così la tua musica funzionerà. Altrimenti rimarrà uno di quelle centinaia di dischi con tanti bravi musicisti che suonano senza però ascoltare ed apprezzare davvero la loro musicalità“.
“Questo è quello che penso ed è così che “vedo” la musica. Non mi va di scendere a troppi compromessi, esclusivamente perché, quando suono, voglio divertirmi, sempre!”
Ma l’emozione che prova nel raccontare le sue esperienze giovanili in giro per il mondo, gli provoca delle strane vibrazioni alle corde vocali. “Il 2001 per me è un anno storico. Diciottenne a Cuba, dove ho la possibilità di incontrare il grande Maestro José Luis Quintana Fuentès “Changuito”, vincitore di due Grammy Latino e di divenire un suo allievo“.
Credo però di comprendere che l’anno più importante a livello di esperienze sia il 2009, quando da New York, dove incontra e prende lezioni private da Gene Jackson, Ari Hoening, Dan Weisse, Nat Smith, trova il tempo per “un saltino” in Senegal, alla ricerca delle origini della musica colta afro americana, derivata dal popolo nero, degli schiavi e poi dei bianchi e le trova proprio vivendo vicino al griot Mamadou Diouf e studiando le poliritmie africane.
Ma le sorprese che questo ragazzo mi regala non finiscono qui. Infatti alla fine di questo nostro incontro, gli chiedo se può inviarmi qualche sua foto per corredare quanto andrò a scrivere. L’indomani, via mail, ricevo le foto richieste. Su una compare lui seduto su un divano con un piatto da batteria, sull’altra un trio con la didascalia: “Barend Middelohff al sax tenore – Paolo Ghetti al contrabasso ed io alla batteria“. Ma quello che più mi sorprende è la sua postilla in PS: “Sono entrambi due miei ex-insegnati di Conservatorio, il Martini di Bologna. Il trio è nato grazie a Barend, che mi ha chiesto il numero di telefono dopo aver presieduto la commissione per l’esame di “strumento del 3 anno” (batteria: ho presentato un programma che consisteva nel suonare “melodie” vere e proprie con i tamburi..), che ha avuto come esito un 30 e lode… Sono due grandi… e vorrei che lo si sapesse“.
Che dire di Matteo? Oltre che bravo, anche altruista, che nel mondo d’oggi ed anche in quello dello spettacolo credo non sia poca cosa.
Complimenti Matteo continua così!
E' un professionista, ma è anche una persona semplice, mi son divertita tanto con lui a suonare.
Grazie Mattè!
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