Senigallia, il Mezza Canaja sul rapimento della ragazza pakistana
Il Centro sociale: "valzer delle strumentalizzazioni, incentivare percorsi di liberazione ed eguaglianza"
In questi giorni le città di Fano e Senigallia hanno occupato le pagine di cronaca della carta stampata e i telegiornali locali e nazionali. Una notorietà seguita al rapimento di una ragazza diciassettenne da parte del padre pakistano.
L’esito conclusivo della vicenda, iniziata martedì 19, è l’arresto del padre e della madre, accusati di sequestro di persona, il riformatorio per il fratello, possibile compartecipe con i genitori, l’affidamento ad una comunità per la sorella minore, il ritorno, nella casa protetta, per la giovane portata via.
Immediatamente l’attenzione si è posta sul fattore sociale e culturale, sulle problematiche che sorgono all’interno dei nuclei familiari composti da cittadini immigrati, l’articolato fenomeno di adattamento con il mondo e le abitudini occidentali, il contrasto generazionale tra figli nati in Italia e i loro genitori legati alle tradizione.
L’inconciliabilità tra le pulsioni di libertà e di normalità delle prime generazioni di figli di migranti, nati nel nostro paese, ed una educazione basata su riferimenti lontani e spesso non capiti, ha portato, in alcuni casi, a tragiche conseguenze, ricordate e menzionate nelle ore di buio intercorse tra l’arrivo del padre pakistano al centro di accoglienza di Fano e l’arresto avvenuto il giorno susseguente.
Ormai è iniziato il valzer delle riflessioni e delle strumentalizzazioni, da un lato i partigiani della nostra supremazia culturale, della necessità di porre un argine all’islamizzazione della società, del pericolo di un integrazione che potrebbe sgretolare le certezze e i valori condivisi, che vede nella chiusura e nell’isolamento della fortezza Europa, nei pacchetti sicurezza, nei filtri all’ingresso e nella regolamentazione dei flussi migratori l’unica salvezza, dall’altro chi cerca di avventurarsi nel terreno arduo di un analisi più complessa.
Per prima cosa chiaro deve essere il riconoscimento, per ogni uomo e donna, della legittima volontà di libertà e autonomia, la giusta aspirazione a poter vivere una vita che sia il frutto delle proprie scelte.
Lottare per la costruzione di un futuro che sia speranza di emancipazione e raggiungimento dei propri bisogni e delle proprie aspettative è un diritto intangibile, da rivendicare nei confronti di chiunque decida di frapporsi al sacrosanto desiderio di autodeterminazione.
In questo senso va la nostra solidarietà più profonda alla ragazza, la vicinanza dovuta a tutti/e coloro che combattono per guadagnarsi la possibilità a poter decidere sul proprio corpo e sulla propria vita, indipendentemente dalle convenzioni sociali, dalle morali o dalle normative statali.
La storia italiana e anche il passato più recente, sono il coacervo di tentativi e dispositivi di controllo volti a limitare le scelte, ad imporre un modello sull’altro, quasi sempre attraverso lo strumento legislativo, a ricordarci, oltre la retorica, come anche l’intimità e le decisioni private siano il frutto troppo spesso della logica della maggioranza.
Il ritorno nelle piazze e nelle strade in difesa del diritto delle donne all’aborto, contrasta il tentativo, mosso da più parti, di ritornare al passato, un regresso che possa essere esempio ed esperimento di resistenza e intransigenza contro quelle istanze, che muovono dalla società, e chiedono pieni diritti civili e sociali per tutti, dai migranti alle comunità omosessuali, dalle donne alle espressioni della diversità di genere.
In secondo luogo sarebbe opportuno trarre, da quanto accaduto, la forza per incentivare quei percorsi di liberazione ed eguaglianza sostanziale che sono ancora lontani nel nostro paese; al contrario, le voci che si levano sono quelle dell’apologia e della difesa ad oltranza di un sistema migliore (italiano; europeo; occidentale) che però tollera la violenza domestica e non nei confronti della donna, la cronica disparità nell’accesso al mondo del lavoro, accentuata da un modello produttivo e di organizzazione, flessibile e precario, che lascia poche garanzie (pensiamo al ricatto della maternità) e accentua pratiche di sfruttamento e criminalità organizzata, come abbiamo potuto vedere emblematicamente a Rosarno, i pestaggi sistematici di omosessuali, l’assalto ai locali gay, i barboni incendiati nelle stazioni, i pogrom nei confronti dei campi rom.
La Lega Nord, che utilizzando l’accaduto e ribadisce la mano dura nei confronti dell’immigrazione, è la principale responsabile di questa campagna di odio, di questo attacco indiscriminato ad ogni diversità, del dilagare dello schiavismo dei braccianti migranti nel mezzogiorno e del caporalato, alimentato dal lavoro nero e dalla ricattabilità dovuta al “pacchetto sicurezza”.
Su questo ferma deve essere la risposta dei movimenti e di ogni singolo cittadino contro fenomeni di razzismo e miopismo politico e culturale strumentali.
L’ultima riflessione ci vede perplessi circa i proclami entusiastici di tutti gli addetti ai lavori che in questi giorni si sono occupati della vicenda.
Al risultato, per fortuna, positivo per la ragazza, si accompagna quello di un nucleo familiare in frantumi, al di là delle considerazioni di facciata, una intera famiglia dispersa tra carceri, riformatori e comunità non può non essere anche il fallimento completo di quelle istituzioni che avrebbero dovuto prevenire, capire e tutelare, la sconfitta in primis dei servizi sociali e dei mediatori culturali intervenuti, la manifesta inadeguatezza di una presunta società superiore che ancora non ha fatto i conti con se stessa.
da CSOA MEZZA CANAJA
AMBASCIATA DEI DIRITTI Senigallia
Coordinamento migranti TERZA ITALIA
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