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Giuseppe Cavalli, la poetica e il dibattito culturale

di Massimo Renzi

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La pallina - G.Cavalli“Noi crediamo nella fotografia come arte. Questo mezzo di espressione moderno e sensibilissimo ha raggiunto, con l’ausilio della tecnica che oggi chimica e ottica mettono a nostra disposizione, la duttilità la ricchezza l’efficacia di un linguaggio indipendente e vivo. È dunque possibile essere poeti con l’obiettivo come col pennello lo scalpello la penna: anche con l’obiettivo si può trasformare la realtà in fantasia: che è la indispensabile e prima condizione dell’arte. Ma ecco nascere da queste premesse una conseguenza di grande importanza: la necessità di allontanare la fotografia che abbia pretese di arte dal binario morto della cronaca documentaria…..”.

Così recitava, sul numero di aprile 1947 della rivista “Ferrania”, il manifesto programmatico del gruppo “La Bussola” di Milano, che continuava rimarcando la sua netta presa di posizione: “…il documento non è arte; e se lo è, lo è indipendentemente dalla sua natura di documento…”
La firma il calce recava i nomi di Luigi Veronesi, Mario Finazzi, Ferruccio Leiss, Federico Vender, oltre a quello di Giuseppe Cavalli, animatore culturale di questo gruppo di intellettuali.
Le affermazioni del manifesto non furono certo ben accolte dagli ambienti fotografici dell’epoca, che non lesinarono atteggiamenti di scetticismo, quando non addirittura di ostilità, ma ciò può non destare stupore se si considera il contesto socio-culturale in cui il tutto avveniva.
Sorelle in campagna - G.CavalliL’attenzione della cultura fotografica di quegli anni, infatti, era rivolta quasi esclusivamente alla divulgazione delle attività documentaristiche svolte in altri paesi, in particolare dell’agenzia francese “Magnum” (fondata da Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, George Rodger e David "Chim" Seymour), e del progetto FSA (Farm Security Administration), un ente governativo degli Stati Uniti che commissionò ai più grandi fotografi degli anni ’30 – tra i quali Gordon Parks, Ben Shahn, Walker Evans e Dorothea Lange – il compito di documentare le condizioni di vita nelle aree rurali e sub-urbane americane.
Gli ambienti accademici – cui sarebbe spettato il compito quantomeno di analizzare le ragioni del mutamento in atto – sembravano non volersi discostare dalla visione “Baudelairiana” di una fotografia capace solo di una meccanico-chimica serializzazione  della realtà.
Il panorama fotoamatoriale italiano si trovò ben presto lacerato  da profondi divari culturali e ideologici. Alcuni fotografi proponevano immagini di tipo “salonistico”, senza alcuna implicazione sociale né culturale se non un implicito riferimento al figurativo pittorico; altri privilegiavano l’indagine e l’impegno sociale; un altro piccolo gruppo credeva in una fotografia capace di trascendere la realtà, rigorosa e libera da qualunque vincolo strumentale, sufficiente a se stessa per elevarsi al livello delle arti tradizionali, e Giuseppe Cavalli ne era il portavoce più autorevole e appassionato. Il suo principale interlocutore e “antagonista” era Paolo Monti, a capo del gruppo della “Gondola” di Venezia.
Studio n. 17 (viva) - G.CavalliLa contrapposizione tra queste due ultime tendenze – il formalismo della “Bussola” di Cavalli e il realismo della “Gondola” di Monti  – assunse toni aspri e polemici  per la sostanziale intransigenza di ciascuno sulla propria posizione, e fu attorno ad essa che si sviluppò la cultura fotografica dei decenni successivi. Formalismo e realismo, forma e contenuto: la disputa verrà risolta alcuni anni dopo dal “realismo magico” di Mario Giacomelli, che mise d’accordo tutti dando torto a entrambi, dimostrando che forma e contenuto non possono prescindere l’uno dall’altra. Ciò nonostante non è infrequente – e la cosa mi fa sorridere – imbattersi ancora oggi in fotografi che discutono animatamente sulla maggior importanza della forma o del contenuto.
Anche sul piano prettamente stilistico le due scuole assunsero antitetiche connotazioni: toni alti (high key) – mutuati dalle influenze pittoriche di Morandi – e gradazioni attente alle minime sfumature per la Bussola; toni bassi (low key) e contrasti più accentuati per la Gondola.
 
Sulle origini del termine “scuola senigalliese” ho indicato in precedenza una data (il 1939) quale ipotetico, convenzionale  punto di partenza. Era l’anno in cui Giuseppe Cavalli si era trasferito in questa città.
Il 1953 rappresentò invece la svolta tangibile, documentata, inconfutabile verso qualcosa  che si stava delineando, a riprova di quel microcosmo artistico e culturale che il Maestro sapeva sempre creare attorno a se.
 Era già da diversi anni a Senigallia, e nel 1953  reputò maturi i tempi per la nascita di un nuovo soggetto culturale: l’”Associazione Fotografica Misa”, che sarà oggetto di un prossimo approfondimento su questa rubrica.
 
Ho finora trattato del Cavalli appassionato e studioso delle arti, del Cavalli teorico-fotografico, del Cavalli ispiratore e animatore culturale, ma commetterei un grave errore se cercassi di scindere queste identità da quella del Cavalli fotoamatore; solo nella loro visione d’insieme, infatti, queste rendono appieno la grandezza di un uomo che possiamo annoverare tra i padri della fotografia d’arte italiana.
“.. Una poetica articolata su un florilegio estetico di intuizioni, concertazioni, equilibri luministici..”, scriverà Carlo Emanuele Bugatti (direttore del MUSINF di Senigallia) nel volume “Giuseppe Cavalli – civica raccolta” dedicato alla mostra allestita al “Palazzo del Duca” dal 7 luglio al 19 agosto 2007.
La critica è sostanzialmente concorde nel suddividere l’opera di Cavalli in tre stagioni artistiche, collegate tra loro ma manifeste di un processo evolutivo nelle motivazioni creative, a dimostrazione di una non pregiudizievole chiusura verso i mutamenti circostanti, pur conservando una rigida coerenza intellettuale.
Piume - G.CavalliLa prima stagione è quella della “Rivelazione” (1935-1946), in cui intuisce la necessità dell’assoluto dominio tecnico degli elementi compositivi (luci-ombre, volumi, inquadratura…) per consentire, a uno strumento concepito per essere il più possibile  fedele alla realtà, la trasfigurazione della stessa al fine di renderla quanto più simile a una visione interiore, una magica estraniazione dalla dimensione fisica delle cose. Ecco quindi immagini caratterizzate dal rigore estetico, dall’attenzione maniacale nei tagli e nelle inquadrature, dai perfetti equilibri formali, dall’armonia dei ritmi.
“..I suoi ‘grigi aerei’ sollevano l’oggetto (‘il pretesto’, che ha innescato il processo di fissazione), dal suo peso gravitazionale conferendogli l’eterea leggerezza del ‘pondus’ metafisico che è pura intuizione..”, scriverà Enzo Carli nel catalogo “Giuseppe Cavalli – Tre Stagioni”, 1994, introducendo la seconda stagione, quella del “Lirismo Chiarista” (1947-1955). E’ la stagione delle sperimentazioni sul linguaggio, dell’High Key, delle contaminazioni metafisiche, del dissolvimento delle tonalità dei grigi verso spazi di pura poesia, in cui gli oggetti non sono rappresentati come oggetti ma come forme, linee, spazi e sfumature, dove nulla è lasciato al caso ma ogni dettaglio risponde a precise esigenze espressive e a ben definiti criteri estetici.
La macchina - G.CavalliLa terza stagione, quella dell’”Espressione” (1956-1961), è sostanzialmente un’incompiuta perché bruscamente conclusa dalla prematura scomparsa dell’artista. Se è certo che l’impronta stilistica di Cavalli è per i più quella che scaturisce dalle opere delle prime due stagioni, è altrettanto vero che la terza stagione è quella che suscita il maggior numero di quesiti per la direzione intrapresa.
Sono gli anni in cui è manifesta una volontà di esplorare il versante dell’espressività, gli anni dell’apertura verso i mutamenti culturali e verso i territori artistici dell’“antagonista” Paolo Monti. La scala tonale si abbassa, il nero conquista ampi spazi nelle immagini, la poesia evidenzia sfumature più tragiche che liriche; la realtà non è certo l’oggetto dell’indagine ma non è più nemmeno un solo pretesto. Le sue ultime immagini parlano di un uomo motivato da nuovi stimoli culturali, con il desiderio di procedere verso nuove sperimentazioni, di aprire territori nuovi alla fotografia d’arte.
 
“… sembra che orientasse tutti i suoi interessi verso un tipo di fotografia lirica e odiasse tutto quello che è reportage. Secondo me era il rovescio; io che gli ero vicino sapevo che odiava tutto quello che era facile, troppo realistico e senza partecipazione..” (Mario Giacomelli)
 
 Non possono ovviamente bastare le mie poche righe a rendere appieno il ruolo storico, lo spessore culturale e l’intensità artistica di un personaggio come Giuseppe Cavalli. Il mio obiettivo è semmai quello di suscitare qualche curiosità nelle “nuove leve” fotoamatoriali, e stimoli di riflessione nei fotografi meno giovani.
 
Per chi volesse approfondire:
“Fotografia”, a cura di Enzo Carli, Adriatica Editrice, 1990;
“Giuseppe Cavalli – Civica Raccolta”, a cura di Daniele Cavalli, Marco Delogu e Anita Margotta, Museo Comunale d’Arte Moderna, dell’Informazione e della Fotografia di Senigallia, 2007;
(da cui sono tratte le foto pubblicate)
“Giuseppe Cavalli – Tre Stagioni”, a cura di Enzo Carli, Comune di Senigallia, 1994
 
 
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Massimo Renzi
Pubblicato Martedì 12 febbraio, 2008 
alle ore 11:05
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