Vi presento <em>Dentro l’immagine</em>
di Massimo Renzi
Vedevo spesso quel signore dai lunghi capelli bianchi, quasi sempre vestito di nero, ma non sapevo ancora chi fosse.
Mi dilettavo già da anni con la mia fedele “Petri” (acquistata su consiglio di un anziano fotografo quando ancora frequentavo la prima media) a fotografare tutto ciò che fosse in grado di catturare la mia attenzione, ma ero ancora nella fase in cui i colori di un tramonto e la magia della camera oscura appagavano ogni mia velleità artistica.
Cominciai poi a frequentare persone che ne sapevano più di me e scoprii che con la fotografia si poteva fare molto di più che imitare una cartolina.
Caddi dalle nuvole quando mi dissero che quel signore un po’ strano era in realtà uno dei più grandi fotografi del mondo.
Com’era possibile che un personaggio di tale levatura vivesse qui, nella piccola città di provincia, fedele alle sue vecchie abitudini, stesso tragitto ogni mattina dalla “bottega” (così amava definire la tipografia di cui era titolare) al solito caffè con i soliti amici? E perché le sue foto erano esposte nei musei di mezzo mondo? Non erano “belle” così come avevo concepito il “bello” fino a quel momento, né colorate, così diverse dalle “cartoline” che pur prima mi affascinavano tanto. Al contrario, mi procuravano tristezza, angoscia, inquietudine, ma mi sentivo fortemente attratto da esse, pur senza capirle o chiedermi cosa significassero.
Erano gli anni della mia “militanza” nei circoli fotografici, i primi concorsi, le prime mostre. Fu in occasione di una di queste che ebbi modo di parlare di fotografia, per la prima volta, con Mario Giacomelli. E sempre in una circostanza analoga feci conoscenza con Enzo Carli e gli altri esponenti del “Centro Studi Marche”.
Fu la svolta che mi permise di “capire che volevo capire”, di apprendere non tanto la tecnica (che comunque avrei potuto imparare da centinaia di libri), quanto le potenzialità espressive del linguaggio fotografico, l’uso che ne era stato fatto dai personaggi che hanno fatto la storia della fotografia e soprattutto in che misura avrei potuto adattarlo al mio modo di essere e di vedere. Poi qualche cosa la feci, e qualche mia foto gira ancora per mostre e musei.
Non è mia intenzione annoiarvi con la mia storia, ma ritenevo doveroso farvi conoscere chi vi scrive e a che titolo lo fa.
Nel nostro appuntamento settimanale su questa testata vi parlerò delle radici storiche della fotografia senigalliese, dei suoi personaggi passati e presenti, delle prospettive future, delle tensioni culturali che hanno attraversato il novecento fotografico e delle loro ripercussioni sulla nostra realtà locale, cercheremo di capire perché più volte si è sentito parlare di una “scuola senigalliese” o di “città della fotografia”.
Non mancherò di trattare le questioni attuali, i personaggi emergenti e ogni cosa vorrete suggerirmi con i vostri interventi. Con una sola raccomandazione: non chiedetemi quale sia la fotocamera migliore, se il “raw” sia meglio del “tiff” o se la carta baritata sia ancora in produzione. Troverete in edicola risposte più autorevoli ed esaurienti delle mie.
L’appuntamento è quindi tra sette giorni, e inizieremo… dall’inizio, vale a dire con “Le origini della fotografia senigalliese”, e da lì svilupperemo un percorso non necessariamente cronologico, arricchito delle tematiche che voi lettori vorrete segnalare.
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