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Nella vecchia fattoria

di Roberto Marconi


– Serene’… apri il cancello che so’ arrivati i mongoloidi!-
Comandò da fuori e ad alta voce Felice, disoccupato ultracinquantenne che era stato adibito ai "lavori socialmente utili" dopo la chiusura della tipografia dove faceva il capo reparto.
-Non dire così: si chiamano "disabili"- bisbigliò da dietro la porta Serenella che faceva da poco la coadiutrice a tempo determinato nella scuola elementare Giulio Verne ed era incaricata anche di aprire e chiudere il cancello automatico.
L’autobus della Cooperativa Solidarietà, bianco con le strisce azzurre, sostava già entro il rettangolo giallo disegnato sull’asfalto ed era tutto un canto festoso:
-Nella vecchia fattoria, ia ia oh…quante bestie ha zio Tobia ia ia oh…-
Seguì, come tutti i giorni di scuola e le settimane e i mesi prima e come tutti i giorni, le settimane i mesi dopo sarebbe seguito, il raglio di Tommaso con la sindrome di Down che faceva ridere immancabilmente Catia prima che lei stessa eseguisse il suo romantico e caprino "beeh": si udì ancora il maiale (Fausto), la cagnetta (Alda) e tutti gli altri fino al silenzioso e imperterrito passaggio a vuoto di Michele che non per finta era autistico.
-Bambini…ora basta bambini…è ora di scendere in fila per due ed entrare a scuola-
I "bambini", alcuni dei quali avevano già più di quindici anni, si acquietarono quasi magicamente e ordinatamente cominciarono a sfilare via come indicato loro dalla giudiziosa pedagogista dell’associazione assistenziale, mentre l’autista li salutava con due sonori colpi di clacson.
Per qualche ora la famiglia e la società poteva dimenticarsi di loro e tirare il fiato senza sentirsi in colpa: là, in quelle aule intonacate di fresco con le finestre grandi e le parole rivolte ad altri, ognuno di loro, con la dovuta assistenza, avrebbe continuato come ieri e come sempre a disegnare il proprio piccolo cielo, a stentare sulla carta qualche riga del suo domani e del suo sempre.
-Mi ami oggi?- Chiese Tommaso
-Oggi?…Beeh sì…- Belò pensosa Catia- …ma solo se mi pettini i capelli con cento colpi di spazzola.
Significava che anche quell’oggi Tommaso avrebbe rinunciato a mangiare la merendina e avrebbe passato l’intero intervallo a carezzare e lisciare i lunghi capelli dorati di lei e sarebbe stato felice ancora un giorno.
-Maestra mi scappa la pipì!- esclamò ad un tratto Fausto che era il più grande di tutti
-Ora no…se finisci senza errori le dieci operazioni forse ti porterò in bagno- rispose la maestra di sostegno che aveva preso la sua missione molto a cuore e accompagnava lungamente in bagno quel bruno ragazzetto di un metro e sessanta sempre più impegnato a non fare calcoli sbagliati.
-Vorrei essere una lacrima di gioia sul viso di tutti voi- sussurrò nell’altra aula Alda mentre la aiutavano ad accostarsi alla lavagna per disegnare al suo centro perfetto un cerchio perfetto.
Michele da parte sua non disse nulla di udibile, ma da sempre aveva imbastito un profondo dialogo con se stesso e non gli sembrava ancora necessario coinvolgere altri nella discussione.
Alle dodici e un quarto, nell’androne, Felice si alzò dalla vecchia cattedra dismessa e simulacro di un inutile ufficio, abbandonando il solitario di carte da poker a metà del mazzo.
-Serene’ telefona all’associazione che oggi deve venì dieci minuti prima l’autobus per gli handicappati-
-Va bene signor Felice, ma sarebbe bello se lei chiamasse con più tenerezza quei bambini sfortunati…sono creature di Dio come noi-
Felice la guardò pensieroso e grattandosi la barba grigia e lunga quanto la promessa di tagliarsela solo il giorno che fosse stato ricollocato nel posto da capo-fabbrica che era stato suo, non riuscì a trattenere un colpo di tosse: estrasse appena in tempo un fazzoletto per raccoglierci l’espettorazione terrea di piombo e inchiostri di stampa antichi.
-Mio suocero c’ha il morbo di Alzheimer…non è tanto diverso da loro, ma se uno è scemo è scemo: c’è poco da fare-
-Io credo invece che essi abbiano nello sguardo lo stesso stupore per il mondo che si legge negli occhi di un bambino di pochi mesi e che poi non si leggerà mai più- ribattè convinta Serenella
-Dio pensa a quelle creature? Io credo che Dio non esista se non quando lo pensiamo noi e quelle creature non lo pensano di sicuro : e hanno ragione!-
-Forse invece la salvezza e la redenzione di ognuno di noi sta proprio nell’abbandonare la coscienza e cantare una canzone o una preghiera a Dio che esiste proprio perché è inimmaginabile-
-Cazzate…l’unico motivo per cui non possiamo dolerci della vita non è perché Dio ce l’ha data, ma perchè essa non trattiene controvoglia nessuno-
I "bambini" uscirono pochi minuti dopo tenendosi per mano in fila per due cantando "Nella vecchia fattoria…": come sempre, l’autobus li accolse festoso con due colpi di clacson, come sempre, Serenella li salutò con la mano e Felice non dimenticò di finire il solitario: la sua prossima carta in cima al mazzo sarebbe stata l’asso di picche.
di Roberto Marconi

Redazione Senigallia Notizie
Pubblicato Venerdì 17 settembre, 2004 
alle ore 15:30
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