L’ultimo giorno della sua vita
Di Roberto Marconi
Per lui era ormai una vera ossessione: capire quale sarebbe stato l’ultimo giorno della sua vita. Ogni mattino,già in apprensione, apriva gli occhi quando il sole non striava ancora le lenzuola di flanella azzurra da dietro le persiane perché, se quello fosse stato l’ultimo giorno della sua vita, di certo non voleva sprecarlo dormendo più dello stretto necessario. Si alzava quindi di scatto poggiando a terra il piede sinistro sulla pantofola kaki,poi cominciava ad eseguire meccanicamente, ma freneticamente, le incombenze che per tutti sono tipiche del mattino: si fermava tuttavia di tanto in tanto, quasi fosse stato ipnotizzato,per prestare attenzione a quel dolorino intercostale che sentiva appena sveglio e verificava ansiosamente se e quanto esso si irradiasse lungo il braccio sinistro: era un infarto incipiente? No, non lo era…non lo era da almeno due anni. Altre volte si bloccava su quel suo leggero cerchio alla testa, su quella sensazione di pressione alle tempie che per pochi secondi gli faceva crescere la preoccupazione di diagnosticarsi “dal vivo” l’arrivo di un ictus fulminante… oppure era invece l’ansia di crederlo che gli procurava appunto quel malessere che lui imputava a causa e non a conseguenza dell’ansia stessa? Pochi secondi e… ovvio, era questa seconda ipotesi quella giusta, come sempre. Tra una faccenda e l’altra, quelle almeno che un uomo “single” può comprensibilmente portare a termine in un bilocale in affitto, in un mesto sobborgo, di una anonima città di provincia, si inserivano ritualmente anche altri intermezzi “catatonici” come per esempio quello che lui credeva di esorcizzare chiamandolo con distacco “l’attimo del segugio”. Improvvisamente aveva la precisa e netta convinzione olfattiva che il bilocale fosse ormai completamente saturo di gas: forse la fiammella del fornello si era spenta improvvisamente, forse la caldaia aveva un difetto di combustione, forse…ma mentre andava annusando di qua e di là col viso proteso in avanti e con tutti i sensi pronti a percepire un qualche tragico indizio,piano piano, sotto la fioca luce, la sua figura andava sempre più assomigliando ad una floscia bandiera penzolante, con quelle due braccine smorte, nella infinita bonaccia della sua vita. A quel punto, però, le inesistenti cause dell’imminente ed esiziale esplosione non gli occupavano più di tanto la mente: quello che ormai lo assorbiva interamente era l’innesco di fantasie che esse provocavano. Cosa avrebbe fatto se avesse presagito di dover morire così improvvisamente e prematuramente? Di certo grandi cose: avrebbe senz’altro preso la sua borsetta di finta pelle, da sotto la scrivania di fòrmica nel suo ufficio di ragioniere della ditta “Onoranze funebri Ruschetti”e sarebbe andato dal titolare: gli avrebbe detto che il suo socio da anni aveva una relazione con sua moglie, spesso consumata nel suo piccolo, ma anche efficacemente anonimo appartamentino e che quell’infame lo costringeva a falsare i bilanci per far sparire somme utili a consentire, alla coppia clandestina,vizi smodati ed inconfessabili. Avrebbe anche avuto il coraggio di dichiarare il suo amore alla bruna “attrazione” della casa di appuntamenti che da tempo animava un incredibile calpestìo di avvocati, calciatori, imprenditori, politici e persone famose al piano di sopra della sua silenziosa dimora. Ma avrebbe fatto anche grandi gesti di umanità: avrebbe donato tutti i suoi organi ai bisognosi di vivere,perché ognuno di loro avrebbe dato un senso ad una parte di lui. Avrebbe fatto un lascito di tutte le sue sostanze a favore dei bambini abbandonati (come era stato lui) e senza un vero e libero futuro perché studiassero danza e non da ragioniere. Avrebbe restituito al Museo Nazionale l’originale del manoscritto medievale che aveva rubato in gioventù e che conteneva una oscura profezia circa la data esatta della fine del mondo, perché lui dopo 10 anni di ricerche e studi aveva ormai scoperto incontrovertibilmente che essa era passata. Avrebbe anche liberato il vecchio canarino sul balcone, perchè nei cinguettii mattutini cercasse anche lui la sua ultima primavera… Questi pensieri, resi in punto di morte non avvenuta, lo inorgoglivano e lo caricavano di luminosa euforia: quasi fossero degli spots pubblicitari sovraeccitati e ottimistici, inseriti in un mediocre documentario sulla vita dei moscerini: erano in realtà il vero motivo del suo vivere quotidiano. Dopo di essi riacquistava quasi magicamente la serenità di giudizio e l’equilibrio sentimentale: si infilava il suo completo grigio scuro e a piedi si recava pacatamente verso il suo ufficio dove avrebbe tenuto, anche quell’oggi, la contabilità delle morti altrui e della inutilità complessiva delle loro vite vissute senza aver mai compiuto i grandi gesti che lui ogni giorno, nel chiuso del suo appartamentino, poteva ricordare di aver compiuto.
di Roberto Marconi
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