Ragazzi abbandonati, per salvarli task force nei comuni
Intervista al Procuratore dei Minori.
di MICHELA GAMBELLI Nella spiaggia di velluto è suonato il campanello d’allarme, ma il fenomeno dell’abbandono di bambini è molto più esteso di quanto si pensasse. Lo spiega il Procuratore del Tribunale dei minori Ugo Pastore.
Procuratore, 26 minori trovati in stato di abbandono a Senigallia, tenendo in considerazione che la città conta 50.000 abitanti, è «una cifra che desta preoccupazione.
Questo è successo a Senigallia ma purtroppo succede in molte località, negli ultimi due anni c’è stato un grandissimo aumento nelle città di minori abbandonati. Non è che prima non accadesse, è solo che non esistevano ancora delle politiche coordinate d’intervento. Così i vari soggetti intervenivano un po’ a macchia di leopardo sulle singole situazioni senza che ci fosse un vero coordinamento. Dal settembre 2001, quando personalmente ho cominciato ad occuparmi del fenomeno, sono state date delle direttive ad enti locali, servizi sociali e forze dell’ordine in modo che gli interventi non fossero dispersivi ma finalizzati ad una risposta».
Un esempio?
Mentre prima il ragazzino che veniva trovato intento nell’accattonaggio veniva affidato ad un sedicente familiare adesso c’è una procedura molto più rigorosa nella quale si valorizza il discorso della capacità dell’affidatario di occuparsi del minore. Ora in tutte le Marche quando viene trovato un minore in stato di abbandono che abbia commesso un reato, per il quale non siamo sicuri che i familiari mostrino di essere in grado di occuparsene o lo sfruttano, interviene il Comune e gli assistenti sociali che adottano un provvedimento urgente inserendolo in un luogo sicuro. Il tutto viene segnalato a noi che verifichiamo se è una situazione di abbandono irreversibile – e allora si può procedere fino all’adottabililà – oppure se è una situazione alla quale si può ovviare anche attraverso degli interventi di ausilio sulla famiglia. Quindi adesso c’è un maggiore controllo».
Ma se c’è un maggiore controllo allora come mai il fenomeno aumenta a vista d’occhio?
«Il piano sta funzionando infatti i reati commessi da ragazzini sono diminuiti. Invece per i minori in stato di abbandono il numero è stabile, ma si parla di cifre molto alte. Noi abbiamo fatto emergere il fenomeno poi il resto dipende dall’ente locale e se questo non ha i mezzi e le risorse anche i nostri provvedimenti rimangono sulla carta. Si segnala infatti il discorso della scarsità di strutture di accoglienza e soprattutto il fatto che queste strutture non sono attrezzate per rispondere ai particolari bisogni di questi ragazzi, soprattutto per quelli che sono arrivati in Italia attraverso collegamenti di tipo malavitoso e che non sono disponibili ad essere tutelati, oppure per quelli che necessitano di un intervento immediato. Noi non possiamo fare niente per questo problema, c’è bisogno invece che nelle apposite strutture ci sia personale che parli la lingua del ragazzo e che gli sappia spiegare come la legge lo tutela, se questo non si fa è normale che il ragazzo scappi».
Ma il problema riguarda solo Senigallia o interessa anche altre città della regione?
«Non riguarda solo Senigallia ma gran parte delle strutture private distribuite su tutto il territorio. L’allontanamento del ragazzo lo rimette a rischio di abbandono, occorrono programmi che consentano ai minori di inserirsi adeguatamente. Gli interventi vengono effettuati correttamente ma il problema è che la risposta in termini concreti si rivela inadeguata, se su 100 ragazzi che vengono consegnati dalle forze dell’ordine, 99 scappano significa che c’è qualcosa che non va. Su questo, però, non possiamo intervenire noi perché sono l’ente locale che dovrebbe cercare di promuovere e selezionare strutture più adatte».
Lei come vede la situazione della spiaggia di velluto?
«A Senigallia il problema è in crescita e continuerà a crescere in maniera esponenziale fino a quando non ci sarà una risposta adeguata che devono organizzare gli enti locali. Per quanto riguarda le forze di polizia hanno delle direttive ben precise che rispettano, intervengono sul minore e prospettano la situazione all’ente locale che deve pensare al resto».
Ma chi sono questi ragazzi e in che situazioni li trovate?
«Molti ragazzi sono clandestini, spesso legati ad attività non sempre lecite, altri appartengono a gruppi rom. A volte capita anche qualche italiano che scappa di casa ma questi poi rientrano sempre in famiglia. I ragazzi si trovano nelle situazioni più disparate, alcuni vengono sorpresi ad elemosinare, altri in luoghi non troppo sicuri, altri ancora che commettono reati. Si tratta di adolescenti che hanno dai 14 anni ai 17. Abbiamo avuto molti casi anche di bambini più piccoli che provengono però da forme di sfruttamento».
I genitori li reclamano?
«Solitamente no. Ci sono problemi solo per stabilire l’esatta età anagrafica, alcuni di loro si spacciano per minorenni proprio per essere tutelati quindi spesso sono in possesso di documenti falsi. Il rapporto genitoriale diventa quindi di difficile accertamento già da un primo momento, in seguito occorre valutare il comportamento della famiglia perché se anche questa sfrutta o abbandona moralmente il figlio vanno presi provvedimenti».
Come li tutela la legge?
«La legge li tutela pienamente. Con i minori non si pone il problema dell’espulsione ecco perché l’occasione dell’intervento nei centri che li accolgono, se fosse spiegato correttamente, farebbe capire ai ragazzi che hanno l’opportunità di avere il permesso di soggiorno, di essere inseriti nella società e che nessuno li può mandare via, quindi è loro interesse essere tutelati perché hanno anche una speranza per il futuro. Bisognerebbe saper spiegare loro queste cose».
Serve quindi un maggior intervento da parte degli enti locali?
«L’intervento è importante per sottrarre i ragazzi alla strada, bisogna quindi motivarli e dar loro un progetto di vita. Se si riuscisse a dare migliori risposte il fenomeno si conterrebbe. Il problema è ora per il ragazzo ma anche per la collettività che assiste all’aumento di minori in stato di abbandono».
di Michela Gambelli
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