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Amnesty International per Amina

Firmare l’appello per tentare…

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A distanza di poco tempo dalla grande mobilitazione che si è avuta per Safiya una nuova donna è nel braccio della morte. La legge islamica vigente nel Katsine, uno degli stati della Nigeria, prevede la morte per lapidazione per il reato di adulterio. Naturalmente Amnesty International si sta mobilitando raccogliendo firme e chiunque si schieri contro tale pena è chiamato in causa. Fiaccolate sotto l’ambasciata nigeriana a Roma si sono svolte dalla notte di Natale all’8 marzo, appelli firmati anche da 250 parlamentari e da 500 sindaci sono arrivati all’ambasciata ed è possibile continuare a mandarne anche via e-mail. Anche al nostra redazione ha firmato l’appello di Amnesty International.Ancora una volta diviene concreta e tangibile la riflessione sulla pena di morte nel mondo e sui diritti delle donne (bisogna ricordarsi che Safiya era stata violentata e, invece di essere difesa, doveva morire perché rimasta incinta: segno concreto dell’adulterio!). Tema noto,che viene continuamente affrontato: anche venerdì mattina al congresso esperantista a Portonovo si è parlato di donne e guerre e dei loro diritti troppo spesso ancora nascosti o ignorati in varie parti del mondo(e parleremo di questo incontro che si è avuto!).
Ancora una volta emerge il rapporto tra occidente e oriente, nord e sud. In realtà la pena di morte è pena di morte in qualsiasi parte del mondo. In Nigeria si usa la lapidazione, in alcuni paesi degli USA si tramuta l’esecuzione in evento televisivo. Dalla notte dei tempi poi le dittature eliminano fisicamente gli oppositori. La crudeltà è intrinseca al concetto. Senza considerare il fatto che non sono sporadiche le notizie che ci informano di assassini in carcere. Dove queste cose accadono è impossibile non pensare che il carcere in sé rappresenti una sorta di luogo dimenticato, una specie di buco nero in cui si mandano le anime aspettando che escano redente. E i suicidi tra i detenuti? Amina fra due mesi sarà lapidata. Questa la legge. È giusto? Non è giusto? E il motivo, quale che sia, merita tale pena? Domande che vedono risposte diverse in base alla storia vissuta dai vari popoli. Una pena, questa, che forse disseta, per la frazione di un istante, il bisogno di vendetta, ma che subito lascia sentimenti di sconfitta e debolezza per non aver avuto la pietà che può permettere ancora il respiro e il riscatto e per non aver saputo fare null’altro che reagire passivamente assecondando un istinto. Quello che rimane è un ennesimo cadavere, anche se giustificato dalla legge; legge che però non rimane superiore agli uomini visto che risponde agli errori, anche i più crudeli, evitando ogni tipo di riflessione e divenendo arbitro di vita e di morte spesso proprio come i giudicati.

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