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Riflessioni a margine del libro “Abitare il Bosco. Tributo a Camillo Nardini”

La recensione di Fabrizio Chiappetti, docente di lettere e saggista

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Camillo Nardini

Ha scritto una volta Italo Calvino: “Fotograferemo tutto e saremo incapaci di ricordare ciò che conta davvero”.

Tra le premonizioni laiche di uno dei più grandi scrittori italiani del Novecento, questa suona più che mai adatta a descrivere i nostri tempi. In cui le memorie artificiali si allargano – altro che giga, ormai si viaggia a terabyte – e quelle personali si restringono al presente assoluto del “touch quindi sono”. In cui non si può vagare dolcemente fra le nuvole, come insegnava uno straordinario poeta inglese, senza pensarle sature di file, immagini e video accumulati per non essere mai più rivisti, se non in minima parte.

Il libro Abitare il Bosco - Tributo a Camillo NardiniDunque ci vuole coraggio per fare quello che hanno realizzato Simone Luchetti e Giorgio Granatiero: un libro fotografico dedicato ad un amico scomparso. Ma Abitare il Bosco. Tributo a Camillo Nardini è qualcosa di più. È un libro necessario. Perché proprio in tempi simili occorrono strumenti, occasioni, incontri capaci di rieducare lo sguardo.

E le foto scattate a Boscomio, il bosco urbano voluto dal professor Nardini – Camillo per tutti – ultimo dono che la sua anima ha regalato ai suoi amici e a Senigallia, possono farlo. Lievi, come la materia fotografica fatta di luci, ombre, forme e silenzi. Potenti, come le emozioni, i ricordi, i sogni che evocano. Non immagini “usa e getta”. Ma sentieri, profili da leggere come se fossero parole, che poi non bastano mai. Per descrivere il dono divino, che si offre indistintamente a credenti e non credenti, della meraviglia che si prova contemplando la natura: qual(siasi)cosa esiste anziché nulla. Chi ha conosciuto Camillo ha potuto toccare con mano la sua fede nella meraviglia.

Presentazione libro Abitare il Bosco - Tributo a Camillo NardiniLe “Quattro foto per Camillo” di Giorgio Granatiero ci ricordano che Boscomio è abitato dal Virgilio delle Georgiche: non luoghi aspri e selvaggi, ma curati da mani invisibili, cuori generosi, spiriti pazienti. Tanto che le geometrie compositive che governano gli scatti sono tutt’altro che algide e distaccate; al contrario, ogni particolare conduce sulla soglia del ricordo amico, struggente ma non triste, capace di conforto.

La “Viviana di Boscomio” di Simone Luchetti, anche lei, è lì da sempre. Dalla notte dei Miti ai versi dannunziani. Solo che occorrono gli occhi dei poeti, o quelli dei bambini, per poterla scorgere anche solo per un momento.

Infine, il terzo bosco dentro Boscomio è molto simile a quello che si respira nelle liriche di Giorgio Caproni, quei Versicoli quasi ecologici così schietti, pieni di rispetto per tutte le piccole cose che ci circondano. Uomini compresi. Boscomio è questo meraviglioso alveare di relazioni animali, nel senso profondo che la radice di questo aggettivo conserva: le anime di tutti gli esseri che lo abitano, lo curano, lo vivono col passare delle stagioni. E un’eco dell’anima di Camillo, che lo ha così fortemente voluto.

di Fabrizio Chiappetti

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