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50 anni dopo il mito Renato Cesarini – El Tano di Senigallia – e la Zona sono ancora con noi

L'unico calciatore diventato modo di dire moriva nel marzo 1969. Fece sognare tutti: Italia, Argentina, Juve, Vigor. E lo fa ancora

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Renato Cesarini

“Quando dai il tuo nome a un pezzetto di tempo – il quale è solo di Dio, dice la Bibbia – qualcosa nella vita lo hai fatto”: la citazione di Alessandro Baricco è più che mai opportuna, perché il noto scrittore la dedica proprio a lui: Renato Cesarini.

O “Il Cè”, o “El Tano”. Perché Cesarini qualcosa lo ha fatto davvero, anzi più di qualcosa e in più vite, da una parte e dall’altra del mondo, In Europa e in Sud America, come Garibaldi: per gli argentini Cesarini era “El Tano-L’Italiano” e il suo talento lo esibiva nell’arte del calcio.

Anche “Il Cè”, altro soprannome che gli era stato affibbiato, è stato però un condottiero, in campo e fuori, ed un eroe, per tanti tifosi.

Renato Cesarini con una scimmia, assieme alla quale più volte girava ai tempi della JuventusIl suo nome, ancora oggi, è sinonimo di gol segnati all’ultimo minuto, decisivi.

Tutto nacque per colpa di un giornalista, Eugenio Danese: fu lui, nel 1931, a coniare il termine “Zona Cesarini” per raccontare un gol segnato al 90’ di un incontro Italia-Ungheria. L’azzurro segnò proprio all’ultimo minuto il 3-2 e da allora divenne l’unico giocatore diventato un modo di dire.

“Zona Cesarini”, oggi, non ha perso il suo fascino, anzi, lo ha esteso: l’autorevole Dizionario Treccani ci ricorda che l’espressione è usata in vari campi come equivalente di “appena in tempo”.

In fondo, le nostre esistenze scorrono sul filo dei minuti, proprio come una partita di calcio.

Un eroe dei due mondi Cesarini, ma che nacque nel nostro, precisamente a Senigallia, nella frazione Castellaro, nel 1906. Presto però emigrò con la famiglia in cerca di fortuna in Argentina.

Cresciuto, si adattò ai lavori più umili in quei tempi grami, facendo pure l’acrobata in un circo e il calzolaio.

Ma fu il talento per il pallone a salvarlo e a renderlo ricco e famoso. Ventenne debuttò nella nazionale argentina, poi nel 1930 tornò in Europa vincendo cinque scudetti con la Juventus, che lo acquistò dal Chacarita Juniors, il club di Buenos Aires che lo aveva lanciato: in bianconero segnò una cinquantina di gol, spesso decisivi, non di rado nel finale.

Poco dopo Cesarini fu uno dei primi oriundi della nazionale italiana. Il governo argentino non era contento, ma quell’artista dal ciuffo ribelle, amante del bere, delle belle donne, che alternava la vita mondana a quella dei sobborghi più malfamati, in realtà era sempre stato uno di noi.

Ed è qui che una storia già ricca di fascino si fa ancora più emozionante.

È il 1932: lo juventino Cesarini torna, dopo tanti anni, nella sua città natale per un breve soggiorno e, accolto dall’entusiasmo travolgente della gente del posto, non sa dire di no ad un invito per giocare una partita con la maglia della Vigor contro l’Anconitana, con cui già allora c’è una certa rivalità sportiva.

Monumento a Renato CesariniRenato si schiera in attacco con Vittorio Ioppolo, giocatore simbolo della Vigor di allora ed autore del gol vittoria proprio nel finale: anch’egli, evidentemente, aveva appreso bene l’insegnamento del suo improvvisato, ma fenomenale, compagno di reparto.

La vittoria regalò un’immensa gioia agli sportivi locali, stipati sul prato e su una traballante tribuna di legno: d’altronde, anche se Cesarini aveva lasciato la città natale appena bambino, “per la gente del luogo non fu che senigalliese”.

Il talentuoso centrocampista-attaccante nel 1935 tornò in Argentina, per vincere ancora da giocatore e allenatore, dispensando ovunque il suo carisma, la sua intelligenza e il suo intuito.

Fu lui a creare “La Maquina” River Plate, uno degli undici più forti di sempre e a scoprire campioni come Omar Sivori, prima di ripresentarsi in Italia: nel 1959-60 a Torino vinse ancora scudetto e Coppa Italia nelle vesti di direttore tecnico della Juventus allenata proprio da un amatissimo ex trainer dell’Anconitana, Carlo Parola.

Quindi, tornò ancora una volta in Sud America, dove era ormai venerato come il “Maestro dei Maestri”.

Chissà quanti fiumi di inchiostro avrebbe regalato ancora un personaggio simile, se la morte dopo una breve malattia non se lo fosse portato via a soli 62 anni, a Buenos Aires: esattamente 50 anni fa, il 24 marzo 1969.

Ma in fondo Cesarini è ancora con noi, nel calcio come nelle asperità della vita, raccontate da quella “Zona” che ogni giorno ci ricorda la leggenda de “El Tano” di Senigallia, artista capace di far sognare allo stesso modo i tifosi della ricca Juve anni ’30 di Edoardo Agnelli, come il più umile ma non meno orgoglioso popolo vigorino, assiepato su una pericolante tribuna pur di vederlo in rossoblù nel derby contro l’Anconitana.

Per approfondire la figura di Cesarini online anche questo articolo, contenente ulteriori indicazioni bibliografiche.

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